Finale Coppa Italia, 2 anni e 2 mesi all’ex capo ultrà Genny a Carogna

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Vi ricordate Genny a Carogna? Si torna a parlare di lui, dopo quasi un anno dagli avvenimenti poco piacevoli che l’hanno visto protagonista. Gennaro De Tommaso (questo è il suo vero nome), è diventato famoso il 3 maggio 2014 prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, per aver trattato a cavalcioni della curva, a nome dei tifosi napoletani, con giocatori e forze dell’ordine durante la finale. Poco prima un commando di ultras romanisti aveva teso un agguato ai supporter napoletani poco lontano dallo stadio Olimpico, ferendo con colpi d’arma da fuoco Ciro Esposito, che morirà 53 giorni dopo. I fatti per cui Genny è imputato si sono svolti prima dell’ingresso allo stadio. Secondo le indagini avrebbe capeggiato un gruppo di supporter partenopei che si muovevano, lanciando petardi e fumogeni, in corteo non autorizzato. L’ex capo ultrà è stato imputato anche di violazione della norma relativa all’esposizione di striscioni e cartelli incitanti alla violenza per aver indossato quel giorno una maglietta con scritto “Speziale libero“, facendo riferimento alla morte dell’ispettore Filippo Raciti, avvenuta nel 2007 prima del derby tra Catania e Palermo. De Tommaso, assistito dagli avvocati Lorenzo Contucci e Giovanna Castellano, è stato riconosciuto responsabile del reato di resistenza aggravata a pubblico ufficiale per aver cercato di fronteggiare il cordone delle forze dell’ordine che presidiavano il percorso assegnato ai tifosi partenopei fino all’impianto sportivo e della violazione della normativa sugli stadi per essersi seduto a cavalcioni sulla cancellata della curva nord. Il risultato? 2 anni e due mesi di reclusione. Assolto invece per la scritta “Speziale Libero” sulla maglietta e per lancio di materiale pericoloso. A fronte della recente condanna e avendo già scontato sei mesi, Genny ‘a Carogna non andrà in carcere né agli arresti domiciliari. Oltre a lui, sono stati condannati ad un anno ed 8 mesi (con sospensione della pena), per resistenza a pubblico ufficiale, altri tre napoletani: Mauro Alfieri, Genny Filacchione e Salvatore Lo Presti.

Barbara Roviello Ghiringhelli