Vincenzo D’Amico conosceva bene il lato oscuro del calcioscommesse: risollevò lui la Lazio dopo lo scandalo del “Totonero” nel 1980.
Le tentazioni per una giovane promessa del calcio professionistico sono tante e spetta ai veterani di questo mondo controverso spingere i più inesperti sulla retta via. Forse ai tempi di Vincenzo D’Amico era più semplice, in un calcio di esempi e di bandiere che oggi a favore di agenti spregiudicati e trasferimenti miliardari ha perso i suoi antichi splendori.
Vincenzo D’Amico fu fortunato. Esordì nella Lazio che non aveva neppure 18 anni, l’ambiente biancoceleste era tutt’altro che semplice. Si era nel pieno della febbre scudetto 1973-1974, impresa a cui D’Amico partecipò attivamente. Per evitare che imboccasse strade sbagliate lungo il cammino l’allenatore Tommaso Maestrelli lo prese sotto la sua ala protettiva, così come il capitano Giuseppe Wilson.
Il suo rendimento fuori dal campo non sempre farà parlar bene di lui, come nel 1977, e talvolta influisce sulla sua titolarità nelle Aquile. Vincenzo D’Amico però riesce sempre a riprendersi, sia da sbandi personali che da infortuni muscolari: la passione per la sua Lazio è troppo forte.
Nel 1979-1980 D’Amico ritorna uno dei titolari inamovibili della Lazio, il periodo purtroppo coincide con lo scandalo calcioscommesse noto come “Totonero”.
La sentenza per la Lazio è impietosa: la penalizzazione di 5 punti si trasforma in una retrocessione in serie B.
Ad essere coinvolti sono i titolarissimi Massimo Cacciatori, Bruno Giordano, Lionello Manfredonia, Maurizio Montesi e il capitano Giuseppe Wilson, che aveva vegliato sul giovane D’Amico. Vincenzo sa di doversi rimboccare le maniche per salvare la sua squadra. Prende così il comando della Lazio come capitano, in una squadra ora formata da tanti giovani del vivaio.
La Lazio, in gravi difficoltà finanziarie dopo lo scandalo, è costretta a cedere D’Amico al Torino contro la sua volontà. La parentesi granata non è semplice, soprattutto quando inizia a sostituire Claudio Sala come fantasista. La Lazio, ora in Serie B, sembra allo sbaraglio e D’Amico non riesce a vedere la sua squadra crollare dalle fondamenta. La sua richiesta viene esaudita e nel 1981 ritorna tra le Aquile, accettando di giocare nella serie cadetta.
Vincenzo D’Amico diventa a pieno titolo una delle bandiere della Lazio. Insieme ai rientrati Giordano e Manfredonia, che dovevano più di qualcosa ai tifosi biancocelesti, salva la Lazio da un’ulteriore retrocessione, la riporta in Serie A e soprattutto ce la fa rimanere.
Al termine della sua carriera alla Lazio è il terzo giocatore per numero di presenze con la maglia delle Aquile. Vincenzo D’Amico non è il simbolo di un calcio marcio dalle radici ma di un calcio che con i suoi giovani può sbagliare ma può anche rialzarsi, mettendo al primo posto la passione per questo sport e la riconoscenza e il rispetto verso i suoi tifosi.
D’Amico si è spento troppo presto a soli 68 anni e viene da chiedersi cosa avrebbe pensato di tutto ciò che affligge oggi il nostro calcio.
Federica Vitali