In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il calcio italiano si mobilita a favore della causa.
Ogni giorno siamo lì a contarle, ad aggiornare tristemente la lista, a individuare la zona in cui è avvenuto “il fatto”. Sembra ormai un triste rituale, quello della conta delle donne vittime della violenza da parte di mariti, compagni, corteggiatori o sconosciuti.
Picchiate, violentate, sottoposte a violenza psicologica, umiliate, uccise, dimenticate. Quante storie abbiamo sentito, ognuno di noi potrebbe essere Anna, Francesca, Elena, Roberta o chiunque altra…
E potrebbe subire lo stesso trattamento.
Cosa fare? Da dove cominciare (o ricominciare) per arginare questo fiume di male intorno alle donne?
La risposta è e sarà sempre una sola, anzi due: cultura ed educazione.
La cultura dell’apertura mentale, dell’adeguamento ai tempi, della conoscenza.
L’educazione al rispetto dell’altro, del suo ruolo nella società, della sua essenza, delle sue risorse e capacità.
Un corale appello che, nella ricorrenza 2019, ha visto protagonisti anche tutti i calciatori nella tredicesima giornata del campionato italiano.
Tutti i giocatori si sono presentati in campo con il viso “macchiato” di rosso: rosso come le panchine e le scarpe rosse, simboli della giornata, rosso come il sangue versato da tante, troppe donne ogni anno, rosso come le rose che spesso ricevono le donne come “dono-alibi” dai loro uomini in cerca di perdono temporaneo.
Quel segno non è passato inosservato, come non è passata inosservata l’iniziativa forte attuata a Palermo, allo stadio Barbera, dove sono stati lasciati vuoti 94 posti durante la partita contro il Messina, come ricordo delle 94 donne uccise nel 2019 (e siamo ancora a novembre!).
Anche l’hashtag #facciamogliuomini, non è passato sotto gamba. Insomma, iniziative lodevoli che però, diciamolo, devono avere un continuo, con un fondamento valido e concreto.
Se pensiamo che troppi uomini ritengono le donne corresponsabili delle violenze sessuali per via del loro abbigliamento, o che può sottrarsi a un rapporto se non lo vuole davvero, o che ci sia una responsabilità da parte di una donna allorquando sia drogata o ubriaca. Opinioni sconcertanti, al pari di chi le considera oggetti di cui disporre, a cui imporre determinate scelte, o a chi impedisce loro di esprimersi su argomenti ritenuti “da maschi”.
Quale argomento migliore del calcio, allora? Quanti commenti squallidi, frutto di una crescita in contesti retrogradi, patriarcali e pseudovirili. Quante offese a calciatrici, allenatrici, opinioniste, giornaliste, colpevoli di occupare un suolo sacro e invalicabile se non al maschio Alfa.
Lo Sport in questo senso può fare davvero tanto, non solo con messaggi e iniziative significative, ma con condanne serie e contro ogni forma di violenza sulle donne che decidono di praticarlo, parlarne, lavorarci, vivere.
Ogni essere umano è una risorsa per la società, ogni donna lo è anche di più, per la natura del suo essere, per la molteplicità di porte che apre con determinazione, coraggio e sacrificio, per il coraggio che dimostra a mostrarsi senza temere il giudizio, spesso impietoso, del mondo circostante.
Che sia allora un segno rosso sul viso, un posto lasciato vuoto allo stadio, una scarpa, un fiore, una panchina, un pensiero, una poesia, una foto a ricordarci che nessuna donna merita che le si sia torto un capello, tarpate le ali, impedito di affermarsi professionalmente, scegliere se diventare o meno madre, scegliere di vivere la propria femminilità e sessualità.
Allora, 25 novembre sia: ma con la speranza che non sia la ricorrenza di un mesto elenco di sorelle strappate alla vita da ominidi incapaci di diventare – e fare – gli uomini.
Simona Cannaò