Esattamente un anno fa la tragedia in piazza San Carlo innescata da un presunto allarme bomba che ha generato il caos; 1500 feriti e una donna, Erika Pioletti, morta dopo giorni di agonia
Un inferno.
Sono da poco passate le 22:00…
Per la Vecchia Signora le cose non si mettono bene, il Real Madrid ha appena segnato il gol del 3 a 1 quando, in una gremitissima piazza San Carlo, un fragore scatena il caos più assoluto generato dalla paura ingigantita dall’incertezza di cosa stia realmente accadendo.
Panico, urla, fuggi fuggi generale, persone che cadono sull’infinito tappeto di cocci di vetro che non avrebbero dovuto esserci, rimasugli delle bottiglie vendute dagli abusivi ad ogni angolo, senza che nessuno preposto alla vigilanza intervenisse.
E’ passato un anno dalla tragedia di Torino dello scorso 3 giugno; 30.000 persone sono radunate nel salotto buono della capitale piemontese per assistere alla Finale di Champions tra Juve e Real Madrid trasmessa su maxi schermo; un rumore intenso ed inteso come la possibile esplosione di un ordigno innesca si una “bomba”: la gente terrorizzata scappa, gli occhi pieni delle immagini degli attentati in Europa, travolge le transenne, viene calpestata, si ferisce con i vetri a terra.
Il bilancio finale è di 1500 feriti, alcuni gravi.
Tra questi Erika Pioletti, trentotto anni, che seguiva la Juventus indirettamente perché era la grande passione del fidanzato Fabio. Giorni di agonia e poi la morte.
Un’altra donna, Marisa Amato, travolta dalla folla sotto i portici da allora è paralizzata, costretta sulla sedia a rotelle. La donna quella sera non andò in piazza ma venne travolta dalla gente in fuga mentre passeggiava con il marito.
Kelvin, un bambino di appena sette anni, ricoverato in terapia intensiva per dieci giorni. Il piccolo, che per due giorni era rimasto in coma a causa di un grave trauma toracico, ha tenuti tutti col fiato sospeso ma, per fortuna, ce l’ha fatta.
Loro ma anche tanti altri, uniti prima dalla passione per i medesimi colori poi dal terrore, dalla paura.
Silvia Sanmory
La Procura di Torino apre immediatamente un fascicolo d’indagine, ipotizzando contro ignoti i reati di lesioni e disastro colposi, ai quali dopo la morte di Erika si aggiunge l’omicidio colposo.
Nei giorni successivi agli ignoti viene dato un nome e un cognome: nel gruppo figurano personaggi “eccellenti”, fra cui la sindaca Chiara Appendino, l’allora questore Angelo Sanna e il prefetto Renato Saccone.
Mesi di indagini secretate e serrate hanno portato un paio di mesi fa all’arresto della “Banda dello spray”, formata da ragazzini extracomunitari che scippando con l’ausilio di spray urticanti crearono il panico in mezzo alla folla innescando la miccia di una tragedia che forse si poteva evitare; la Procura, che ha chiesto l’archiviazione solo per Saccone, potrebbe chiedere il rinvio a giudizio tra gli altri per l’Appendino e per Sanna.
Silvia Sanmory
Un anno fa la tragedia di piazza San Carlo. Questa mattina cerimonia per ricordare Erika Pioletti
Stamattina, alle 11,30, in piazza San Carlo, alla presenza di autorità e familiari, si è svolta una cerimonia in ricordo di Erika e di quella triste pagina. “In memoria di Erika”, la scritta incisa sulla targa ricordo donata ai genitori.
Per volere della famiglia, la cerimonia si è svolta all’insegna della sobrietà e della discrezione.
Le note del silenzio suonate da una tromba, i fiori gialli e blu della Città e quelli bianchi della Juve, che sul web ricorda una “serata di calcio diventata notte di paura e di lacrime“.
Alla cerimonia anche Paolo Garimberti, presidente dello Juventus Museum, il commissario Figc Roberto Fabbricini e il dg del Torino Antonio Comi.
Da quel 3 giugno Piazza San Carlo e il nome di Erika sono un tutt’uno. Quella piazza così elegante e maestosa è stata l’ultimo luogo che la giovane donna ha visto, è stata il luogo in cui ha visto per l’ultima volta il suo amore per poi spegnersi.
“Uniti nel ricordo di Erika” recita lo striscione che ormai è affisso in piazza dallo scorso giugno: perchè in Erika, nel suo nome, è racchiusa quella catastrofe. In lei, nel suo nome è racchiusa la paura provata, il rumore dei cocci, le urla, il panico, l’apprensione provata in quelle ore. Quella tragedia porta inevitabilmente il suo nome!
Caterina Autiero
Erano lì, in piazza, come Erika. Come lei hanno vissuto attimi di incredulità, terrore, smarrimento che li fa sentire, oggi, fortunati.
Scarpe e oggetti personali smarriti, cosa vuoi che siano in confronto al perdere la vita?
Cicatrici, poca cosa rispetto a chi, come Marisa Amato, è rimasta paralizzata. Segni indelebili, sì, come lo sono i sentimenti provati in quella notte …
Dario Ghiringelli era in piazza come Erika e ricorda così il “suo” 3 giugno:
“Sono fortunato: sono gobbo e sono di Torino (il che mi rende particolarmente facile poter seguire la Juve da vicino). Sono fortunato perché un anno fa, da torinese, ho potuto facilmente raggiungere piazza San Carlo per seguire la finale di Champions insieme a tantissimi Juventini, provenienti da ogni parte del mondo. Sono ancora più fortunato perché io quella sera non mi sono fatto niente: ho rischiato tanto, tantissimo, perché sono quasi travolto da una folla che scappava e non sapevo da cosa… ero impreparato, incosciente di cosa stava successo e quindi assorto da quel maxischermo, con la testa in su e il mal di pancia per quel 3-1 (Asensio non aveva ancora messo il sigillo finale) che stava sancendo un’altra debacle europea. Son scappato anche io senza sapere perché, senza sapere da cosa… tanto spavento, sguardi spaventati, sangue per terra e messaggi terrorizzati di chi a casa stava sentendo le notizie in tv…
Sono fortunato perché il mio cervello è un po’ freddo e incosciente e, a distanza di un anno, la paura è passata. Ma il 3 giugno non si dimentica perché la mia sorte non è toccata ad altri e perché la paura che ha lasciato me non ha lasciato mia moglie che un anno fa era a casa, con mio figlio di un anno, e che per quella paura adesso non vuole più che vada in situazioni simili… sono fortunato anche ad avere chi mi vuole così bene!“.
Antonio Iovinella è un altro superstite di quella notte di terrore. Lui era partito alla volta di Torino con gli amici di una vita: ore e ore di viaggio, l’adrenalina, il clima di festa, la partita e poi il buio:
“Ricordo il viaggio con gli amici di una vita, il giorno della partita, le interminabili 12 ore sotto il sole per stare in prima fila… tutto tremendamente bello. Ho conosciuto persone di Brescia, Puglia, Sardegna, ho incontrato e abbracciato amici di vecchia data, era come se ci conoscessimo tutti da una vita, tutti con un sogno in comune. Poi arrivano le 22:45 e si è trasformato tutto in un incubo: bambini in lacrime, sedie a rotelle capovolte, ragazze disperate, sangue. È stata la prima volta che ho avuto paura di morire! Ho perso qualsiasi cosa e sono rimasto chiuso in un ristorante fino a tarda sera ed anche li si è creato il panico, ho visto una mamma con un bambino piangere terrorizzati, sono rimasto con loro per 1 ora e al ritorno del marito dalla piazza la signora mi ha offerto un passaggio fino in Hotel. Finalmente poi ho ritrovato tutti i miei amici: Fabio è stato il primo, mi ha abbracciato e ha mi ha detto che si è rialzato solo perché ha pensato a suo figlio…Non lo dimenticherò mai più!“.
Anche Mariano Iodice ha avuto paura, tanta paura e oggi più che mai, a distanza di un anno, ricorda le urla, i cumuli di scarpe e si sente un privilegiato perchè si è salvato…
C’è chi per una partita di calcio ha perso la vita, chi è come se l’avesse persa, chi porta i segni sulla pelle chi, invece, li porterà sempre dentro di sè, perchè certi attimi non si cancellano…
C’è chi, per fortuna, quella notte può ricordarla…
Caterina Autiero