Il 3 Settembre 1979 nasceva Julione Cesar, l’Acchiappasogni dell’Inter
Lo chiamavano l’Acchiappasogni perché lui quel numero 12, ancor prima di essere numero 1, i sogni li acchiappava davvero e li acchiappava tutti, alcuni per realizzarli altri per infrangerli; li vedeva partire e quando talvolta si tingevano di incubi, li acchiappava comunque e li trasformava a suo piacimento. Proteggeva la porta scacciando gli incubi peggiori, ogni partita, ogni seduta di allenamento, ogni giorno con l’obiettivo di crescere insieme a quella squadra considerata una famiglia dal primo giorno.
“La prima volta che ho indossato la maglia dell’Inter, ho capito subito che la squadra aveva tanti tifosi appassionati e che era la squadra perfetta per poter realizzare tutto quello che sognavo da bambino…” Ha lavorato duro, giorno dopo giorno fino a maturare un sogno più che un obiettivo, il più grande che si potesse avere in una squadra di club; parata dopo parata si fece spazio tra i più grandi fino a firmare la storia, come lui stesso disse tra le lacrime in quell’ormai lontano 2012, riuscendo in un’impresa unica coronando un sogno lungo 45 anni per i suoi fratelli, quelli sugli spalti.
Li acchiappava tutti, sogni o tiri che fossero e senza curarsi quale piede l’avesse calciata agguantava quella palla come nei videogiochi o nei fumetti, si tuffava, la respingeva, si rialzava e ancora un altro stop; come attratta da un magnetismo tutto suo finiva dritta tra i suoi guantoni senza lasciar spazio alla fantasia perché Julio Cesar in porta faceva paura, era un muro e valicarlo sembrava un utopico atto eroico pure per i più forti, un po’ come quella volta in cui durante un qualunque Barcellona – Inter si stese su quel tiro qualunque di quel Messi qualunque.
E chi se la scorda più quella parata! “Un giaguaro” disse Fabio Caressa riguardandola dall’inquadratura da dietro, si stendeva con velocità e agilità felina e ancor prima di essercene accorti lui l’aveva spazzata via come un vero scaccia sogni fa. Senza mai farsi intimidire, con lo sguardo consapevole e attento, e il sorriso fiero ma mai superbo e da ragazzino come quella volta in cui “Spense le luci a San Siro” su un tiro dagli undici metri di Dinho dopo un derby surreale o quell’altra volta in cui fronte a fronte con Ibra la linguaccia non era bastata e alla fine il gol entrò e il sorriso scappò comunque se non altro, per amicizia di quell’Abracadabra che dall’altro lato della barricata l’aveva beffeggiato per il modo in cui in mondovisione Julione lo aveva sfidato. Ma Julio Cesar non era solo questo e non era perfetto perché prima di tutto, prima di essere uno tra i più grandi portieri al mondo, era ed è un uomo fatto di emozioni che non ha mai avuto paura ad esprimere.
Mai a tirarsi indietro nel chiedere scusa per un errore e mai a trattenere le lacrime quando gli rigavano il viso, né in gioia tanto meno in dolore, non ha trattenuto le lacrime quel 22 maggio a Madrid e non le ha trattenute il giorno in cui con la voce smorzata salutava il suo pubblico, la sua famiglia, la sua città, “Vi amo e vi amerò sempre, vi porterò sempre nel mio cuore ovunque io andrò” disse.
Noi, inguaribili romantici ai quali è scoppiato il cuore in quell’impresa titanica di cui lui ne è stato protagonista ci rattristiamo solo a pensarlo un calcio senza di uomini come lui perché al calcio futuro questi uomini pieni di sogni sporchi che sanno di sudore e sacrifici mancheranno tanto.
Grazie di tutto Acchiappasogni per essere stato quel ragazzo semplice affamato di obiettivi tanto grandi da rendere grandi pure noi.
Ti porteremo sempre nel cuore!
Egle Patanè