Periodo di grande clamore attorno a Paulo Dybala, partito con prestazioni ridondanti seguite da una fase “faticosa”. Cosa accade al giovane “10”?
Croce e delizia dell’essere sempre al centro dell’attenzione. Paulo Dybala nelle ultime settimane sembra essere il fulcro prediletto di analisi giornalistiche, disquisizioni mediatiche, teoremi calcistici. La domanda di tutti è: “Cosa accade al numero 10 della Juventus?”.
L’inizio di stagione del giovane argentino è stato oltremodo strabiliante: al pari di Re Mida, tutto ciò che l’argentino eseguiva in campo si trasformava in “magia”. Poi il rigore sbagliato contro l’Atalanta, la lunga sosta (senza mai giocare) in Nazionale, il rientro e il secondo rigore sbagliato contro la Lazio hanno contribuito a creare un “caso Dybala”: se di caso, propriamente o no, si vuole parlare…
Partiamo da un presupposto fondamentale, che molti, moltissimi vogliono ignorare: spesso il rendimento di un attaccante si valuta in base alla fase realizzativa. Nel caso di Dybala però, a partire dalla sua seconda stagione in bianconero, il giocatore è stato arretrato dal tecnico fino a ricoprire in taluni casi la veste di “centrocampista aggiunto”; questo a discapito della sua finalità sotto porta e anche delle sue riserve energetiche, che in quel ruolo sono più duramente messe alla prova. Fintanto che il ragazzo si trova nella posizione che gli compete, di seconda punta di movimento, le sue marcature non sono mai mancate. Lo abbiamo visto all’inizio della stagione in cui Paulo, “forte” dell’investitura da numero 10, non ha “rispettato” il compito di trequartista, ma ha spaziato come più voleva. Ma con le continue defezioni di Pjanic, che è quello più indicato nella costruzione di gioco a centrocampo, Allegri ha richiamato la Joya in una posizione più arretrata.
Non è un mistero che il giovane non gradisca questo compito “cucitogli” dall’allenatore. Già lo scorso anno abbiamo avuto modo di vedere l’insofferenza dell’attaccante a questa rivisitazione: ad essa, in precedenza ben contenuta e velata da parte del ragazzo, si aggiunge oggi la pressione psicologica degli errori che impediscono al giovane di lavorare in campo serenamente. Passare nel giro di poche settimane dalle lodi più eclatanti alla definizione di “numero 10 più fallimentare della storia bianconera” (cito testuale le parole di un tifoso, raccolte ieri) sarebbe presumibilmente fastidioso e destabilizzante per chiunque. Premettendo, poi, che in mezzo a tutta questa “crisi”, le partite di Udine, Milano e quella in casa contro la Spal sono state giocate ampiamente sopra la sufficienza.
Anche il tasto sostituzioni è diventato delicato: non perchè sia giusto non rispettare le volontà dell’allenatore, sia chiaro. Semplicemente se tra le punte si sostituisce sempre lo stesso, è inevitabile creare del disappunto che come ben sappiamo i giocatori, in un modo o nell’altro, hanno sempre dimostrato. Il calcio non è gioco da mammolette.
A questo punto vorremmo ricordare che,analogamente, accadde ad Alvaro Morata di attraversare un periodo di ben quattro mesi senza realizzare gol. A volte il periodo diventa così complicato, che neanche la giocata più facile, “a memoria”, riesce. I giocatori talvolta vivono situazioni delicate anche personali e iniziare guerre mediatiche non li aiuta come non aiutano i fischi della tifoseria, soprattutto per alcuni caratteri. Che non cambiano, anche se percepisci un lauto assegno mensile.
Un calciatore del talento sopraffino come Dybala non può non tornare ad essere decisivo: al di là di vicissitudini personali, pressioni psicologiche o “divergenze” con Massimiliano Allegri. Sarebbe però opportuno talvolta lasciar correre questi periodi bui, senza arrivare a conclusione affrettate o addirittura ridicole che non tengono conto della lettura tecnica e tattica di una gara, né tantomeno di un aspetto a tutto tondo della vicenda.
Senza dimenticare che, in casi estremi, esiste comunque il mercato di gennaio.
Daniela Russo