Tevez, dal Barrio alla Champions
Carlos Martinez, è questo il suo nome d’origine.
Carlos come il nome di suo padre, morto in una sparatoria quando il piccolo era ancora nel grembo materno e Martinez come il cognome della ragazza madre, Fabiana, che l’ha messo al mondo ma non l’ha voluto crescere. Il piccolo Carlos è stato adottato subito dagli zii materni, persone per bene in un inferno del male, il Barrio:
“A volte quando giocavamo a pallone, iniziavano a sparare. I proiettili ci volavano sulla testa, senza averne coscienza. Eravamo bambini. Non sono mai stato pienamente consapevole di aver sfiorato la morte. La paura per noi era qualcosa di naturale” dice Teves all’inizio della serie.
A 10 mesi di vita il piccolo Carlos è vittima di un incidente domestico, tocca per sbaglio il matè, un infuso tipico cotto su un pentolino, si rovescia e il liquido bollette gli provoca un’ ustione di terzo grado.
Il 50% del corpo è bruciato, le cicatrici sul corpo diventano il simbolo della sua resilienza. Di chi, nonostante tutto, non si è mai dato per vinto. Ha rischiato la vita tante volte, Carlos. Semplicemente camminando per le strade della sua città. Guerra tra bande criminali, giorno e notte. È cresciuto in un quartiere in cui, affacciandoti alla finestra della cameretta, potevi vedere da un momento all’altro un cadavere steso per terra con mille coltellate sul corpo e un proiettile in testa. Considerare il tutto “normale”.
“Ehi, hai sentito? È morto Tizio”. “Sì, gli hanno sparato. Problemi con la droga”.
La droga. Linfa vitale nel Barrio. Mantenere la famiglia grazie alla droga, uccidere per la droga, avere potere grazie alla droga. Linfa vitale ma mortale, perché quando ti comporti male la vita ti presenta il conto.
Carlos riesce a salvarsi, cresce con i valori insegnati dai genitori adottivi. Sta alla larga da tutto il male nonostante cadere nella trappola sia troppo facile: ha la madre naturale alcolizzata, uno zio in carcere e il migliore amico, talento del pallone, che inizia a drogarsi dopo aver perso il fratello in una sparatoria, motivi di droga appunto. Lui ne sta fuori. È forte a calcio ed è ancora più forte nella vita. È molto umile.
Tutti i suoi compagni di calcio conoscono i volti dei più grandi osservatori argentini. Sono lì sulla tribuna mentre lui gioca me è ignaro di tutto. A lui non interessa, gioca e se ne frega. Non vuole mettersi in mostra. Vede il padre lavorare come muratore giorno e notte per mantenere la famiglia. “Se vuoi ti aiuto, inizio a fare il muratore anch’io” dice il piccolo. “No Carlos, devi studiare”. “Studiare” è l’unico mantra della madre adottiva:
“Adriana (la madre adottiva) è sempre stata un figura materna per me, mi è sempre stata accanto. È stata lei a insegnarmi ad allacciarmi le scarpe – spiega Tevez nel documentario – Fabiana (la madre naturale) invece non la vedevo molto. La incrociavo. A volte mi salutava, a volte no. A seconda del giorno”.
Il compito durissimo di questi due genitori: educare l’educabile in un mondo che avrebbe potuto far scivolare il piccolo Carlos da un momento all’altro: “È grazie alla mia famiglia se ho imparato a distinguere il bene dal male. Senza di loro non sarei l’uomo che sono oggi”.
Durante una partita di pallone lo vede un famoso osservatore: “Lo voglio all’Argentinos”. Carlos ringrazia ma rifiuta e sceglie la famiglia e gli amici. Lo vuole anche il Boca, il Boca è il sogno di un vita. Il suo, quello di suo padre, di suo nonno e di suo zio. Accetta ma per poter iniziare a far parte della squadra è necessaria l’approvazione di Fabiana, la madre naturale. Anzi Carlos si spinge oltre, non vuole la sua approvazione. Non tocca a lei decidere. La vita di Carlos non può essere nelle mani di una donna che l’ha abbandonato. Carlos vuole cambiare cognome. Vuole diventare un Tevez e far parte del Boca. Ci riesce. Diventa Carlos Teves. Brucia le tappe, finisce in prima squadra. Esordisce alla Bombonera con il numero 26:
“È difficile descrivere cos’è il Boca per me perché sono sempre stato tifoso del Boca. È la squadra che mi ha aiutato a realizzare il mio sogno. È tra le cose più importanti della mia vita”.
Viene convocato in Nazionale poi, nel corso degli anni, vola in Inghilterra al West Ham, Manchester United, Manchester City e per tre stagioni, in Italia, gioca nella Juve ma questa è storia già nota.
A Tevez è bastato schivare qualche proiettile e stare alla larga dalle brutte compagnie. Non ha mai preteso di essere il più forte ma lavorando giorno dopo giorno è arrivato in alto, dove i suoi colleghi del Barrio possono solo sognare. Ha sollevato la Champions League con il Manchester United. Un bella rivincita sul campo e nella vita. Perché la vita ti presenta il conto anche quando ti comporti bene. Soprattutto quando ti comporti bene.
Sara Montanelli