Siniša Mihajlovic, l’autobiografia che tutti dovremmo leggere

È in libreria 'La Partita della Vita', l'autobiografia di Sinisa Mihajlovic. Dalla scoperta della malattia alla guarigione, con tante altre storie...

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È in libreria ‘La Partita della Vita’, l’autobiografia di Siniša Mihajlovic. Dalla scoperta della malattia alla guarigione, con tante altre storie…

Sinisa Mihajlovic - La Partita Della Vita

 

L’autobiografia di Siniša Mihajlovic fa parte di quei libri che non possono mancare nella libreria di qualsiasi appassionato di calcio.

Poco importa quale sia la squadra del cuore; Sinisa è un personaggio talmente divisivo (come lui stesso si definisce) da riuscire a diventare l’esempio vivente del detto “oltre i colori”.

O si ama, o si odia. In mezzo non ci si può stare.

Io l’ho amato, manco a dirlo, da quando ha indossato la maglia della Lazio in poi. In quel periodo ero una bambina, ma ricordo che avevo una specie di libretto (credo fosse un gadget della Nike) con la sua punizione.

Più veloce lo facevi scorrere, più quel pallone sembrava arrivarti in faccia.

L’ho consumato, negli anni, a forza di guardare quel piccolo capolavoro di carta. Per fine anni ’90 era una specie di magia. A distanza di anni, è uno dei pochi ex calciatori biancocelesti che non ho mai perso di vista. In un modo o nell’altro, ho sempre provato simpatia e ammirazione per lui, qualsiasi fosse la sua squadra o la sua panchina.

Dalla sua autobiografia, uscita lo scorso giovedì, mi aspettavo il ‘solito’ libro scritto in collaborazione con qualche bravo scrittore e poco più.

Invece – lo ammetto – mi ha spiazzata: 458 pagine di vita – la sua – raccontata in prima persona, con una cura tale (grazie anche alla penna di Andrea Di Caro) da far immedesimare il lettore al punto di portarlo a sorridere e piangere contemporaneamente.

Cinquantuno capitoli in cui racconta – e si racconta – a 360 gradi. Dalla scoperta della malattia al ricovero, le cure, la sofferenza, le riunioni con lo staff tecnico e gli allenamenti a distanza.

Ma anche il Sinisa bambino, la sua terra, la guerra, l’amicizia con Arkan (più volte strumentalizzata e da lui raccontata, senza tanti giri di parole), l’amore per Arianna e per la sua famiglia.

Semplicemente il ritratto di un uomo che non vuole essere un eroe, non ci si sente.

Ha le sue debolezze, i suoi difetti, e nel libro li racconta tutti. Uno ad uno. Al punto di arrivare al capitolo conclusivo con la sensazione di conoscerlo, di averlo avuto seduto accanto per tutto il tempo e di aver capito che, spesso, il calciatore e l’uomo sono due cose assolutamente opposte.

Il capitolo più difficile? Forse quello in cui parla del primo ritorno in panchina. Me la ricordo bene quella partita. A Verona, quando è uscito dal tunnel, del Sinisa che tutti conoscevano era rimasto poco o nulla: gli occhi spauriti, il viso scavato, il passo incerto.

Leggere come è arrivato a quella giornata è un pugno nello stomaco, bilanciato dal sollievo di chi conosce il finale della storia. E poi ancora, la guerra. Un racconto tanto dettagliato quanto crudo non può lasciare indifferenti.

Ma attenzione, nel libro di Siniša si ride e tanto; quando racconta gli aneddoti dello spogliatoio di tutte le squadre in cui ha giocato, svelando lati dei compagni di squadra che dall’esterno non possono essere percepiti. Dalle litigate in campo alle contestazioni dei tifosi (subite sia da giocare che da allenatore a Firenze).

Quello che – da laziale – mi ha fatto più ridere, è senz’altro l’arrivo di Stam in biancoceleste, con annesso siparietto comico con l’attuale tecnico Simone Inzaghi. Se leggerete il libro, capirete il perché.

Il lato romantico non manca, non c’è un solo capitolo in cui non nomini sua moglie Arianna; dal primo incontro al matrimonio, i loro cinque figli e la tenacia con la quale non lo ha mai lasciato da solo, neppure un giorno. In quel letto d’ospedale, Siniša da solo non è mai stato. Insieme ad Arianna c’erano migliaia di tifosi, colleghi, giornalisti, persone comuni che hanno voluto dimostrargli la vicinanza e l’affetto e che lui ringrazia nel suo libro, non potendolo fare personalmente. Ma ai quali ora chiede di smettere di compatirlo, tra le righe.

Siniša è tornato, sta bene e non vuole compassione. Anzi, se volete davvero farlo felice, ricominciate a contestarlo.

Consigliato? Assolutamente sì. Dentro ci troverete qualcosa che vi farà storcere il naso, scoprirete lati di lui che non vi piaceranno o forse, come è successo a me, capirete che in questa storia non c’è nessun eroe ma solo un uomo; con le sue debolezze, i suoi errori e i suoi racconti di vita dentro e fuori dal campo.

La vita di un uomo che ha avuto la fortuna di essere all’apice della carriera negli anni migliori possibili per la nostra Serie A e che forse, ancora oggi, sarebbe quel difensore centrale che in Italia non abbiamo mai più ritrovato.

Micaela Monterosso