Simone Petricciuolo: appendere gli scarpini a 23 anni per rispetto di se stesso

Appendere gli scarpini al chiodo a soli 23 anni e non per motivi fisici: questa la decisione di Simone Petricciuolo che, però, non ha salutato il campo verde senza prima spiegarne le ragioni

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Essere un calciatore è il sogno della gran parte dei bambini, ma non tutti sanno cosa significa diventarlo. Il prototipo del giocatore viene spesso, erroneamente, accostato esclusivamente ai professionisti delle massime serie, i “bravi, belli ed impossibili” che hanno la fortuna di vivere bene svolgendo come lavoro la propria passione.

La gavetta che devi svolgere per  entrare in questo mondo è lunga e faticosa e, soprattutto, non è detto che riuscirai ad accedervi.

A 23 anni sei un giovane “debuttante” nella vita ma nel calcio sei già in una fase avanzata, in cui devi aver compiuto  – o stai per farlo –  il salto ” di qualità”. Decidere di prendere gli scarpini ed appenderli al chiodo in questo momento, a questa età,  è anomalo e puoi giungervi principalmente per un motivo: ragioni fisiche.

Se invece ci arrivi per altre motivazioni,  queste sono la dimostrazione di  come la maturità più grande tu la abbia acquisita nella vita ancor prima che sul rettangolo verde.

 

generazioni di talenti

Questa è la storia di Simone Petricciuolo, oramai ex calciatore dell’Anzio, militante nella Serie D. Classe 1995, un passato nelle giovanili di Roma e Bari, la nazionale under 20, un’avventura anche in Serie B dove ha collezionato sei presenze con l’Avellino: di ruolo terzino destro, ha spiazzato tutti annunciando questa scelta ma non ha abbandonato il calcio, passione di una vita, senza prima rendere noto il motivo alla base dell’addio. Per esprimersi ha utilizzato il proprio profilo Instagram dove ha dato sfogo attraverso una lunga lettera a ciò che in lui alberga: un calcio, forse, non più solo sinonimo di meritocrazia.

Le sue parole, non prive di un mea culpa per rifiuti o affidamenti alle persone sbagliate, risuonano forti in un ambiente in cui si è abituati a sentire quasi sempre le medesime frasi di circostanza. Le ascoltiamo nei pre partita, nei post, le leggiamo nelle interviste degli addetti ai lavori, dei dirigenti, degli stessi calciatori. Lui no. Petricciuolo ha voluto scrollarsi di dosso  quel formalismo che probabilmente lui stesso aveva adottato nel corso della sua breve carriera per manifestare la propria idea del calcio odierno:

  “Oggi giocare in Serie C o in D è estremamente difficile o allo stesso tempo estremamente facile. Difficile per chi con me, se sei solo bravo e grazie a delle regole intelligenti, a 23 anni è considerato già vecchio. Facile per chi invece ha conoscenze importanti, oppure “compra” un contratto dando 15 mila euro al direttore di turno che a sua volta ti fa il contratto con la società, o porta soldi alle società tramite sponsor.  A volte basta avere semplicemente 18-20 anni cosicché il costo è nullo, anzi addirittura facendo qualche presenza le società ci guadagna, motivo per cui , oltre alle regole, la metà di ogni rosa è fatta di under. Dopo si lamentano se i campionati non sono competitivi e se in Italia non nascono più i talenti di una volta”.

 Parole forti che fanno pensare, così come quest’ altra esternazione di Simone:

Ci hanno provato in tutti i modi a farmi passare per quello che non sono. Hanno detto che sono un presuntuoso eppure ho amici ovunque, in tutte le squadre in cui ho giocato ho lasciato un buon ricordo di me come ragazzo vero e sincero, disponibile e non a caso ancora oggi ho contatti con la gran parte di loro e in molte piazze ancora oggi vengo ricordato con affetto e come professionista serio. La verità è che le chiacchiere se le porta il vento e che con il tempo rimangono solo i fatti”. 

 Da quanto scritto da lui si deduce di come abbia preferito mettere al primo posto Simone persona, anzichè  Petricciuolo calciatore: la scelta più difficile emotivamente parlando, la più apprezzabile moralmente.

Certamente è più semplice e meno doloroso continuare nel proprio percorso, piuttosto che scrivere la parola fine ad un sogno che rimarrà tale. Aprire gli occhi, però, per quanto difficoltoso sia, in alcune situazioni è il miglior modo per spiccare il volo verso gli obiettivi più grandi.

Anche se niente in passato mi ha mai colpito in questo modo, sono sicuro di avere la FORZA e il coraggio per reagire e trovare una soluzione. E me lo scrivo qui, così che quando avrò i miei momenti di debolezza, che nessuno vedrà mai, ricorderò i motivi di questa mia decisione e ripartirò. Perchè credimi, ci vuole tanto coraggio per dire addio ai propri sogni”.

Sul campo per molti dirigenti o spettatori potrà essere stato uno dei tanti: oggi, più di ieri, ha saputo differenziarsi e con la forza d’animo che in lui vive, ripartirà, libero, verso altre destinazioni.

Chiara Vernini