Simon Kjaer, Il Capitano valoroso
Non chiedere cosa i tuoi compagni possano fare per te. Chiedi piuttosto cosa tu possa fare per i tuoi compagni
In ogni squadra che sia di calcio o di qualunque altro Sport c’è un capitano.
A volte per sentirsi tali basta indossare una fascia che poi viene riposta alla fine di ogni partita negli spogliatoi. Null’altro.
Altre volte – per fortuna nella stragrande maggioranza dei casi – un capitano è il leader carismatico, il responsabile della disciplina dei suoi compagni di squadra, il condottiero che carica sulle sue spalle il peso delle vittorie sì, ma anche delle sconfitte.
A volte ne diventa l’uomo – spogliatoio, responsabile anche dell’equilibrio emotivo di una squadra. Attraverso di lui vengono filtrati umori e sensazioni, rabbia e delusioni.
Un capitano non sempre è il giocatore più forte e blasonato, spesso è il gregario a essere eletto tale. Quello che poi tolti gli scarpini e i calzoncini torna a vivere un po’ più nell’ombra, nelle retrovie di quella vita patinata che Sport come il calcio regalano.
È quando si spengono le luci dei riflettori che esce fuori IL CAPITANO.
Si rimane Capitani quando tutto diventa silenzio, quando si entra in un pozzo nero e non devi salvare solo te stesso, ma anche gli altri. Prima gli altri.
Il Capitano mette da parte il suo dolore per pensare a quello del suo gruppo.
Il Capitano arriva dove gli altri non riescono ad arrivare. E per farlo bisogna accantonare le proprie paure, le proprie insicurezze.
Non perde mai la testa Il Capitano, mantiene disciplina e lucidità, anche quando la sola cosa che vorrebbe fare è urlare e disperarsi.
Il Capitano ti offre quello che i diritti televisivi, l’occhio gigantesco delle telecamere che ti ricorda costantemente di vivere ormai in balia del Grande Fratello hanno dimenticato: la dignità.
Simon Kjaer è IL CAPITANO
Simon Kjaer sa cosa significa essere Il Capitano.
Conosce il significato intrinseco di indossare una fascia, che non è solo un qualcosa di visibile a occhio nudo.
Non indossa solo una fascia al braccio. Simon Kjaer con quella fascia ci ha stretto il suo cuore.
Tante parole sono state dette e scritte nelle ultime 12 ore. Scrivere ancora di Simon Kjaer diventerebbe un pedante e farraginoso copia e incolla di frasi trite e ritrite.
Voglio porre invece l’accento sulla dignità che questo calciatore, molto di più di un calciatore o di un capitano, ha voluto offrire al suo compagno di squadra a un passo dalla morte.
Kjaer ha regalato a Eriksen la dignità di lottare fra la vita e la morte al riparo dagli occhi lunghi e indiscreti delle telecamere di tutto il mondo.
Ha protetto il suo compagno creando un cordone intorno a lui di persone che si sono spogliate dei panni da calciatori, per indossare quelli umili degli esseri umani.
Kjaer ha avuto la lucidità di prendere in mano una situazione che avrebbe potuto diventare uno scambio di video su whattsapp. Come è stato fatto più volte in passato con altri dolori, altre situazioni, altre storie. Vuole far dimenticare a tutti, compagni, tifosi, avversari di essere in mondovisione.
Con quel corpo vuol fare da scudo a un ragazzo di 29 anni attaccato a un flebile filo di speranza.
Perché se un gol, una giocata, un dribbling è elettrizzante condividerli in ogni dove, la vita non è mai marce di scambio.
In quei lunghissimi minuti Kjaer è stato custode della vita di Eriksen. L’ha messa al riparo, l’ha voluta proteggere dalle parole, dai brutti pensieri, dalle supposizioni della gente che avrebbe iniziato una catena di frasi social edulcorate e campate in aria.
Kjaer ha stretto con dignità una donna sofferente e sconvolta e le ha restituito la dignità di attendere con silenzioso dolore l’evolversi degli eventi.
Ricorderemo sempre Kjaer per aver avuto la prontezza di riflessi nell’evitare che Eriksen si mordesse la lingua, per essere stato uno dei pochi a voler guardare il suo compagno mentre lo soccorrevano, quando quasi tutti i compagni per il grande dolore si coprivano la testa con la maglia.
Non abbiamo visto lacrime, e solo lui sa quante ne avrebbe voluto tirare fuori. Solo lui sa quanto avrebbe voluto urlare e chiedersi perché.
Invece si è preso sulle spalle il peso di quella tragedia e ha restituito al mondo del calcio la dignità. La dignità di essere uno Sport prima ancora di una macchina riproduttiva. La dignità di essere uomini prima che calciatori.
Il calcio con Kjaer è tornato nella sua vera essenza.
Il calcio ieri ha ritrovato il suo significato più recondito nella passione che prevale sugli interessi. L’umanità, il gruppo, i valori della vita, gli insegnamenti.
Ieri ci siamo tutti dimenticati che si stava giocando una competizione internazionale. Abbiamo tutti condiviso un qualcosa di più grande e importante di una partita di calcio.
Simon Kjaer ci ha caricati tutti sulle sue spalle e ci ha mostrato che ancora sì c’è, e potrà esserci ancora, umanità.
E c’è la partita della vita, la più importante di tutte.
Giusy Genovese