Dalla vittoria a Roma contro la Lazio l’Inter era uscita a spalle ancora più larghe di quanto il derby non le avesse già concesso e malgrado la testa fosse già proiettata alla sfida di stasera contro il Barcellona, il Genoa era un appuntamento al quale presentarsi in bella uniforme così da prepararsi per la grande serata di gala.
Se quello con i rossoblù sarebbe dovuto essere un appuntamento galante, l’Inter può dirsi tranquillamente fuori dalla friend-zone. Quello di sabato infatti per l’Inter è stato un pomeriggio di grandi ritorni, soddisfazioni, e perché no, anche di rivincite: il rospo diventato principe, la Betty non più hugly, la nerd diventata superstar, insomma, quel lieto fine che sembrerebbe quasi da fiction.
Sembrava il pomeriggio delle zucche trasformate in carrozze e chi alla festa non era quasi invitato è diventato special guest con tanto di scarpetta di cristallo. Il giorno delle riscoperte di chi era stato considerato a lungo quasi reietto ed ecco l’incanto e la magia di veder andare in gol Roberto Gagliardini, non una ma addirittura ben due volte e Joao Mario fare tre assist e segnare persino una rete, qualcosa di tanto inedito quanto gioviale. Ed è subito amicizia lì dove prima non c’era neppure feeling, tra la sfera e i piedi di quei due che a rivederli bene, sorridenti e soddisfatti, sembrano proprio due bambini che scartano il regalo di Natale ma con una posta in gioco ben più alta.
E che beffa: la partita precedente al Barcellona incorona i grandi esclusi dalle liste Champions che quasi fanno rammaricare dall’averli esclusi. Ma dalla partita col Genoa, un’altra nota positiva viene fuori, oltre al risultato e alla carica che ha innescato nel gruppo: il ritorno dell’uomo che non molla mai. Ritorno in campo e – come già fatto contro il Bologna – sul tabellino dei marcatori.
Ma tra un festeggiamento e un’attesa intrepida, è già martedì, è già Champions, è già Barcellona
Quella di oggi non è certo una gara qualunque, piuttosto è quella gara che vorresti non sbagliare, di quei match la cui preparazione non sembra essere mai abbastanza e che sentire il sangue pompare persino nei bulbi oculari è più che normalità. Lo sa Spalletti, lo sa Icardi, lo sa Handanovic come Skriniar, De Vrij e tutta la compagnia cantante che stasera più che cantare dovrà ballare un tango a chi si aspetta l’accoglienza con la Sardana perché per battere questo Barca il segreto è scombinargli le carte. E se gli ospiti punteranno sul cavallo di battaglia sciorinando il solito copione volto al possesso e alla gestione della palla, attaccarli con mosse inedite potrebbe essere un’opzione, oppure erigere uno specchio, adattandosi potrebbe esserne un’altra.
Occhio… ai ricordi
Se c’è una cosa che l’Inter deve evitare, da tifoso e da giocatore, è sfogliare il libro dei ricordi soffermandosi su quel 20 aprile 2010, almeno stasera e prima di questa partita.
Una cosa che l’interista ha sbagliato nella partita al Camp Nou, come detto nelle ore successive alla partita, è stato l’approccio alla partita stessa dentro e fuori dal campo, e stasera scendere in campo o sedere sugli spalti con addosso il peso che l’ombra di Sneijder, Maicon e Milito, Mou sulla panca e il 3-1 sul tabellino si trascinano dietro, sarebbe un errore imperdonabile persino in caso di remake di risultato.
Una storia che oggi va lasciata lì dove sta, nei ricordi e nei memoriali, perché tuffarsi nella quotidianità, oggi vale più di ricordare, rischiando e giocandosi tutto quello che oggi c’è in ballo oggi: il presente e il futuro da scrivere in un’avventura che per quanto spaventosamente nuova non può non essere vissuta in toto.
E allora niente ansie da prestazione né pressioni psicologiche perché qui da dimostrare c’è parecchio: a partire dall’ardente desiderio chiamato Champions perdurato sei anni per finire con quello che sancirebbe la conferma di un’Inter tornata ad essere grande, e non per scherzo tantomeno per proiezione.
“L’Inter non è l’anti nessuno, se non l’anti-se stessa”
dicono da quel di Appiano e per quanto si è faticato la pretesa di una prova di grandezza non può che essere legittimata: L’Inter è qui e ci vuole restare ma questo è tutto da dimostrare. Quando se non stasera?
Dopo le vittorie contro Tottenham e PSV, la sconfitta a Barcellona resa meno amara dal pareggio tra le due sopraccitate, l’Inter gode ancora di sei punti e di un secondo posto che non dà ancora certezza alcuna di qualificazione e la partita di questa sera potrebbe, se non eliminare l’interrogativo, certo affievolirlo in caso di vittoria. In quel caso la trasferta a Londra farebbe meno paura, e il PSV in casa sarebbe quasi un surplus.
Un’Inter diversa dall’Inter di Barcellona
Ma il Barcellona – come giustamente in molti fanno notare – non è il Genoa e come se non bastasse lì davanti è tornato disponibile quell’uomo qualunque di nome Leo Messi, che a Barcellona se l’è goduta accanto al figlio dalla tribuna.
Chi di Messi perisce, di Nainggolan ferisce e malgrado tra il belga e l’argentino non ci sia paragone plausibile che tenga, Spalletti la vive con quel po’ di serenità in più che a Barcellona non ha avuto modo di dimostrare ampiamente.
Quello che non ha funzionato all’andata è stato proprio l’ingorgo creatosi in quella zona di campo dove al posto del Ninja, Spalletti ha dovuto ripiegare su un Borja Valero rivelatosi troppo impacciato tra le maglie di quella trama tessuta magistralmente dal tridente Busquets, Arthur, Rakitic che hanno braccato lo spagnolo impedendogli quel palleggio sul quale il tecnico aveva puntato e che, al contrario, non solo non si è visto, non è stato neppure rimpiazzato da idee alternative che sarebbero dovute arrivare dalle fasce.
Sugli esterni infatti, né Perisic ancora mai davvero ritrovato, né Candreva sono stati reattivi al punto da sollevare Brozovic dall’oneroso compito di trovare vie di fuga tra le file della difesa catalana che come da copione ha imbastito un muro quasi totalmente invalicabile.
Rispetto all’undici in campo designato per Barcellona, quello di oggi dovrebbe vantare almeno due-tre variazioni: Politano al posto del numero 87, Vrsaljko al posto di D’Ambrosio e Nainggolan al posto di Borja. L’utilizzo di Nainggolan dal primo minuto non è ancora una certezza ma difficilmente il Ninja rinuncerà a scendere in campo e altrettanto difficile è ipotizzare che Spalletti rinunci al Ninja, vista la caratura della partita che quasi inevitabilmente obbliga l’utilizzo del belga dal fischio d’inizio. Con Nainggo la storia dovrebbe esser diversa, il numero dei palloni in area potrebbe – e dovrebbe – essere superiore rispetto a quello registrato in Spagna ma il beneficio che Radja potrebbe portare sarebbe quel valore aggiunto fortemente mancato al Camp Nou che si legge tra le lettere del suo nome: la grinta.
Grinta che Spalletti e gli interisti tutti oggi esigono senza se e senza ma, concetto tra l’altro ribadito ieri in conferenza stampa.
“Abbiamo sempre detto che possiamo giocare contro tutti. Questa è davvero l’occasione per vedere se possiamo davvero essere alla pari. Il Barcellona è il livello più alto di difficoltà nel calcio”
Il Barcellona, ad un livello insindacabilmente superiore, ha però dimostrato di essere umano, ben altri livelli di quello marziano con il quale l’Inter si è misurata l’ultima volta e se l’eccessivo ottimismo è aberrato tra gli spalti, per la legge della superstizione, d’altro canto è capitan Zanetti che si lascia andare in cauto ma pur sempre ottimismo:
“Mi aspetto una gara molto difficile, hanno qualità in tutti i reparti ma l’Inter ha le possibilità per vincere”
E allora, non ci resta che armarci di sciarpe e bandieroni, è tempo di San Siro, è tempo di UCL, è tempo di Barcellona. E’ tempo di riaddentrarsi nell’oltretomba, Belzebù aspetta per una nuova battaglia alla fine della quale le stelle potrebbero essere vicine come mai negli ultimi anni.
Sic itur ad astra.
Egle Patanè