Il 6 agosto del 2011, Giampiero Gasperini ha iniziato ufficialmente la sua avventura da allenatore dell’Inter. L’avvio non fu dei migliori, anzi. La Supercoppa persa contro i cugini milanisti, forse l’esordio peggiore per un cammino che da lì a poco si sarebbe rivelato davvero molto breve.
Lecce, Palermo, Roma ed il Novara in campionato, con tre sconfitte ed un pareggio collezionati ed il ko contro il Trabzonspor nella fase a gironi della Champions league gli sono costate il posto e tanta delusione.
Il venti settembre di quella stagione, la quarta uscite in Serie A, si rivelò l’ultima di Gasperini alla guida della formazione milanese.
La cronaca del tempo ha descritto una rescissione consensuale tra le parti, ma stando alle dichiarazioni che da lì in seguito sono state rilasciate, in particolare dal tecnico, forse così concorde la decisione non lo era stata.
“Il momento più brutto di tutta la mia carriera. Ma ormai a quel punto era già tutto deciso. C’era attorno a noi un clima assurdo. Nei giocatori era subentrata la rassegnazione. Sbagliammo tutto“.
Così commenta l’allenatore la serata della sconfitta che ha generato il suo addio ma, probabilmente, quel progetto non era mai partito e i problemi iniziarono ad esserci già dall’idea di un piano mercato – discordante – tra società e mister, ripetutosi poi anche nella composizione dello staff.
Quando si arriva ad una separazione la colpa, il più delle volte, è da dividere in parti uguali ed assegnare le cause ad una o viceversa può rivelarsi sbagliato. A chi criticava la celerità della scelta, che non aveva lasciato spazio al lavoro del tecnico, si opponeva qualcuno che riteneva i risultati tali da non lasciare spazio ad ulteriori spiegazioni.
Il problema principale, denominatore comunce di entrambe le correnti di pensiero è riassumibile in un concetto: il tempo. Da un lato il tempo necessario per un allenatore di entrare a respirare la competività di una piazza come quella e di adattare i suoi nuovi calciatori alla propria idea di gioco e di calcio stessa. Dall’altra il tempo che non c’è, per un squadra di livello, di fare tutto ciò: se perdi il treno dall’inizio rispetto alle altre là davanti, corri il rischio di non riprenderlo più e di non essere “in orario” per il resto del percorso.
A chi oggi gli chiede se si sente in grado di allenare una grande squadra, lui risponde:” Non mi ricordo di essere mai stato in una grande squadra. L’Inter non lo era, almeno come valori tecnici”. Non la risposta di una persona che scelse consensualmente di interrompere i rapporti. Proprio per questo, quando si trova di fronte i colori nerazzurri dell’Inter, adesso che rappresenta e guida quelli nerazzurri dell’Atalanta, si aspetta sempre un senso di rivalsa, anche se non palesato e confermato.
Domani per Atalanta-Inter Gasperini sarà seduto sulla panchina bergamasca, in una squadra fuori dal novero convenzionale delle grandissime e tuttavia capace, grazie a lui e al suo operato, di diventarne parte di diritto .
Chiara Vernini
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