Roma, nel disordine totale i dubbi diventano certezze

I cori contro il Presidente Pallotta sono il risultato di quello che da due mesi si era solo mormorato: è una Roma incapace di compiere quel salto

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Il sole splende alto sull’Olimpico di Roma in questo pomeriggio di  Settembre ma “cozza” e “brucia” sui volti dei tanti spettatori, famiglie perlopiù, che dopo la sosta di campionato si aspettavano una Roma più aggressiva, impostata, ordinata; insomma a fine partita i cori contro il Presidente Pallotta sono il risultato di quello che da due mesi si era solo mormorato.

Questo 4-3-3 tanto amato da Di Francesco non decolla, si fatica, si suda ma si corre a vuoto mostrando spesso il fianco ad avversari a cui, fino a qualche mese fa, non si concedeva nemmeno un respiro.
E’ tristemente palese il modo in cui questa squadra riesce a farsi sopraffare; è snervante percepire l’insicurezza che aleggia in campo e fa quasi tenerezza il tentativo di alcuni di mettere una “pezza” sugli errori altrui.
Il quadro che ne esce è questo, di disordine totale ed il sentore che forse nessuno all’interno della società avesse previsto un disastro simile e danni – troppi – con certe cessioni improvvise se ne sono fatti molti.

Un primo tempo dove la squadra di Di Francesco sembrava aver trovato il suo equilibrio contro un Chievo duramente penalizzato e forse ancora stordito; poi il solito calo, il solito buio e la paura fino al fischio finale di dover rimpiangere questa partita.

D’Anna schiera una formazione per 10/11 identica al match contro l’Empoli, orfana solo di Djordjgevic, con Giaccherini e Birsa alle spalle di Stepinski mentre  Di Francesco lascia a risposo Fazio preferendogli Juan Jesus e inserendo dal primo minuto N’Zonzi.
Il brasiliano fa dell’incostanza la sua caratteristica principale, entrando in partita solo nei minuti finali e tirando fuori attributi fino a quel momento sconosciuti.
A mantenere a galla la squadra di casa sembrano essere i soliti noti: Florenzi, Dzeko, El Shaarawy, Under.
L’attaccante bosniaco è sempre presente, rincorre, cerca palla, assiste, consiglia, consola, ai più che gli rimproverano la sete di gol bisognerebbe far notare quanto questo giocatore – se qualcuno ancora non lo avesse capito – sia essenziale nell’economia della squadra. Nessuno lo cerca, ma è sempre lui a trovare il compagno, sbaglia sottoporta quando non ha la spalla che lo assiste, fa il suo ma non è prontamente coperto, si sacrifica quando intuisce le possibilità lì davanti, non a caso è suo l’assist al neo acquisto Cristante, protegge il pallone servitogli da Under e magnanimo la serve all’ex Atalanta che da buona posizione e con un tiro di piatto la mette alle spalle di Sorrentino.
Questo è lavoro di squadra.

Brucia vedere una squadra che, fino a poco tempo fa, stava diventando l’incubo dei più grandi club d’Europa ridursi a piccola realtà neanche troppo fastidiosa.

Tra tre giorni ci sarà una sfida importantissima in termini di gioco, tattica e visibilità, sembra quasi un assioma, due facce di una stessa medaglia: portati sul tetto del Mondo o quasi, per poi correre il rischio di venir scaraventati nel ridicolo, è un pericolo talmente reale da essere addirittura palpabile.

Il “Piccolo Olsen” – Palesi le responsabilità sul primo e sul secondo gol, errori inaccettabili per un portiere che dovrebbe rappresentare la Roma in Europa, svista? Gol imprendibile?
Analizzando meglio le dinamiche, in entrambe le situazioni avrebbe tranquillamente potuto evitare le reti e con tutta questa insicurezza alle spalle, anche il difensore più affidabile al mondo troverà grossi problemi a ricoprire con tranquillità il suo ruolo, d’effetto il miracolo allo scadere dei minuti di recupero ma ancora troppo poco per meritarsi applausi e… rispetto.

Manolas – Corre, ma lascia il fiato sul campo, l’incertezza rende un fantasma pure il povero Kolarov che stenta e si lascia rubare il tempo anche da Tomovic per poi servire su un piatto d’argento la palla gol a Stepinski.

Una Roma, insomma, che fa acqua da tutte le parti, si aggiusta una falla e si scopre un altro danno, oggi a me, domani a te ed il buon Di Francesco?

L’allenatore sembra irretito da tutto questo scompiglio, un momento si mostra sicuro di sé, un altro diventa quasi indisponente, una altro ancora rimprovera l’atteggiamento della squadra ma, ad onor del vero non sembra aver trovato il bandolo da cui ripartire.

Stavolta è più una riflessione che un’analisi, perché da analizzare c’è davvero molto poco e di tempo per correre ai ripari ancora meno e non si tratta di fare il bello ed il cattivo tempo, non si tratta di discutere l’atteggiamento di un tifoso deluso dalla mancanza di risultati, il calcio segue regole tutte sue, ma se ci sei dentro, il ragionamento è quantomeno lecito e, se una squadra come il Chievo, invischiata in una situazione scomoda e pesante, riesce a rialzare la testa e a mostrare i denti rischiando anche di vincere una partita contro una squadra come la Roma,  allora i dubbi diventano certezze.

Serve a poco parlare di condotta, attitudine, testa e impegno, quando sembra che nessuno abbia realmente capito quali siano le reali problematiche che hanno attaccato la Roma fino alle radici, c’è stata una metamorfosi in questa società che va oltre il gioco sul campo: continuano ad arrivare partnership, oltre ai noti sponsor che da anni venivano sospirati, visibilità, entrate, che sembrano aver reso più debole un sistema che stava trovando la quadratura del cerchio.
Ogni innovazione presuppone un cambiamento degli equilibri, ogni rivoluzione porta ad una nuova era ma, a questa Roma, manca sempre un passo, quello scalino in grado di condurla esattamente dove aveva deciso di andare.

 

Laura Tarani

(tutte le immagini Getty)