Rino Gattuso e il sogno di tornare al Milan

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Dopo Paolo Maldini, un altro grande ex rossonero ha dato la sua disponibilità a un ritorno a Milanello. Non come dirigente, come invece vorrebbe il primo, ma nei panni di allenatore. Stiamo parlando di Rino Gattuso, che attualmente è l’allenatore del Pisa. È lui l’artefice principale della promozione in serie B, arrivata dopo la vittoria in finale dei playoff contro il Foggia di De Zerbi. Adesso Gattuso sta valutando se proseguire la sua avventura sulla panchina del Pisa, per approdare poi un giorno su quella del Milan. Un sogno per lui, come per tutti i tifosi del Milan che l’hanno sempre amato. Se ci pensate bene, potrebbe essere la persona giusta per ridare tono e mentalità vincente a una squadra che non ha più personalità. E chi meglio di “ringhio”?

Ai microfoni di Milan Channel il tecnico calabrese ha parlato dei suoi progetti futuri: “Il sogno è quello di tornare, come è stato un sogno indossare la fascia di capitano con quella maglia che avevo cucita addosso. Sono stato uno dei primi giocatori italiani ad andare all’estero, a 12 anni ho lasciato casa, a me non piace che nessuno mi regali nulla. Se diventerò bravo spero di avere la possibilità di arrivare al Milan. Ho ancora tanto da lavorare per far questo mestiere, perché non basta essere stato un bravo giocatore. Il fuoco dentro e la passione non mi mancano, ma devo ancora migliorare. La mia voglia è quella di rimanere al Pisa, ma i proprietari sono due, Petroni e Lucchesi: con il primo abbiamo due visioni di calcio differenti. Se rimane Lucchesi io rimango qui, ma se ci dovesse essere ancora Petroni la mia avventura al Pisa finisce”.

Ringhio ha poi detto la sua sulla crisi del Milan facendo un paragone con la squadra dei suoi tempi: “La cosa migliore attualmente è avere una programmazione, la cosa più importante è parlare chiaro. In tanti anni il Milan è stata una macchina perfetta, invidiata da tutti e ci può stare un momento di transizione. I problemi si risolvevano sia in via Turati che nello spogliatoio, tra società e squadra si ragionava con una testa sola. Il segreto è stato quello. La personalità dei grandi campioni che c’erano ha influito sicuramente. C’erano delle regole da rispettare, grande senso di appartenenza. Le regole valevano sia per i giocatori di grande blasone, sia per quelli che ne avevano meno”.

Chissà se il Milan, dopo le deludenti avventure con Seedorf e Pippo Inzaghi, ci farà un pensierino.

Barbara Roviello Ghiringhelli