È una Juventus piccola, quella che si presenta a Lione per gli ottavi di Champions League.
Una Juventus che – come spesso è accaduto in questa stagione – si proclama affamata di vittoria ma poi si presenta all’avversario sazia, imbolsita, senza nemmeno l’acquolina in bocca.
È una Juve piccola di testa, di pensiero, di idee. Pigra e indolente, lascia il pallino del gioco a un gruppo di francesini inesperti ma assai più ambiziosi.
È una Juve piccola nel suo ostinarsi a far girare la palla in maniera lenta e compassata, sterile.
Una Juventus piccola e incapace di imparare dai propri errori.
Scialba al cospetto delle grandi compagini europee – già avvezze a vincere – ma anche delle emergenti: il Lipsia di Nagelsmann, ad esempio, la farebbe a pezzi.
Ingabbiata dalle proprie presuntuose abitudini e indifferente a comunicare con il suo stesso conducente che ieri sera, oltre a sbagliare tanto ha dato l’impressione di alzare bandiera bianca.
Una guida che non vuole o non può fare scelte di coraggio, come lasciare fuori Pjanic e Bonucci, simboli in toto della decadenza della Vecchia Signora: ciabattanti ombre di sé stessi, avulsi da quel concetto di “palla veloce” che Sarri si dispera a chiedere.
Vox calmantis in deserto.
È una Juventus troppo piccola per sognare in grande.
Questa Juve è piccola e non le basterà un’impresa. Ma non l’impresa di ribaltare il risultato dell’andata, no: quella di ritrovare se stessa.