Hanno colpito, e non solo l’ambiente blaugrana, le parole rilasciate di recente da André Gomes: il centrocampista non è l’unico a accusare psicologicamente la pressione che esercita il campo a altissimi livelli
André Gomes è stato a lungo oggetto di desiderio di molte squadre europee, Juventus compresa, prima di approdare in casa blaugrana. E chi non ambisce a indossare la maglia del Barcellona? Eppure per il centrocampista portoghese l’ esperienza catalana è stata l’inizio di un incubo; esattemente queste le parole utilizzate dal giocatore: “Non so se sia la parola giusta, ma sento di vivere in un inferno, mi vergogno anche a uscire di casa. Non sto bene in campo, non riesco più a godere di ciò che mi piace di più”.
Le parole hanno scosso Valverde e i compagni di squadra che non avevano percepito quanto grave fosse il malessere di Gomes: vittima di una pressione scaturita da prestazioni non alla sua altezza, dalle critiche dei tifosi -che ripetutamente lo hanno fischiato al Camp Nou– ma soprattutto da una severissima autocritica. Il tecnico ha sottolineato il coraggio del ragazzo nel portare alla luce la problematica e ha garantito che si cercherà di aiutarlo in tutti i modi.
Ciò che tuttavia fa riflettere è che “il grido d’aiuto” di Gomes non è il solo: proprio qualche giorno prima di lui, anche Mertesacker dell’Arsenal aveva già palesato tutto il suo disagio nell’entrare in campo, svelando i ripetuti attacchi di nausea e vomito cui è sottoposto prima di ogni gara: “Tutti mi dicono che l’ultimo anno occorre dare il massimo, ma io non ce la faccio più. Non vedo l’ora che finisca tutto”.
La gestione della pressione, indubbia nel calcio a alti livelli, è assolutamente personale: non è detto che agonismo, sfida, competizione facciano necessariamente bene. Quello che da fuori appare come un mondo patinato, da sogno, spesso nasconde trappole insidiose. A tele proposito si era espresso Paulo Dybala, in un’intervista a Vanity Fair: “Quello che succede nel nostro retropalco spesso non è proprio bellissimo. Un calciatore, a un certo livello, il più delle volte è un uomo molto solo”. Quando le luci della ribalta si spengono vi sono cose che non riusciamo a vedere: per alcuni il prezzo da pagare diventa troppo alto, anche più dei milioni che si guadagnano e che secondo l’opinione comune dovrebbero sistemare tutto.
Ben lo sanno anche i nostri Ranocchia e De Sciglio, che hanno dovuto ricorrere entrambi a supporto psicologico per superare fischi e esperienze deludenti. Questo ci dovrebbe far pensare a quanto possa essere importante il nostro atteggiamento, in qualità di tifosi, nei confronti di quei ragazzi che indossano le maglie a noi tanto amate.
E’ un invito a riscoprire il vero significato della parola supporter, a ricordare che il calciatore è un uomo con le sue difficoltà, che non si cancellano neanche con un consistente conto in banca.
Daniela Russo
(immagine copertina da passioneinter.com)
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