È questa la grandezza del suo discorso silenzioso che ancora ci parla: ha confuso i pronomi. E la cosa più bella non è che tutto questo si ripete continuamente, ma è la speranza che tutto questo possa ripetersi. Agostino non dev’essere un discorso già fatto, ma il discorso da fare. Ago vive quando se ne parla e nell’esempio che ha dato. Ago vive ogni volta che si fa rivivere, ma non deve essere una moda o un fatto scontato. Ago vive non tanto quando oggi ne celebriamo un compleanno che per forza ci fa male, ma nei ragazzini che al Torneo Agostino Di Bartolomei a giugno dell’anno scorso si sono messi a cantare “oh Agostino! Ago-Ago-Ago-Agostino go” insieme con i ragazzi della Sud che stavano al campo Di Bartolomei. Agostino rivive nei fiori che i ragazzi hanno dato alla moglie Marisa. Ago rivive nei fiori, soprattutto in quelli senza vaso.
Ago vive nella bandiera che Franco Tancredi ha sventolato sotto la Sud nel giorno della hall of fame, nella commozione di Francesco Totti e Daniele De Rossi nel giorno in cui a Trigoria è stato inaugurato il campo Agostino Di Bartolomei. Vive nel nome di quel campo e in tutti i campetti senza nome, soprattutto in quelli di periferia dove regna ancora “amicizia e aiuto reciproco” e si prende a pallonate l’indifferenza. Agostino c’è stato prima e dopo perché continua a esserci anche adesso che non c’è più. Agostino di Bartolomei è stato e ci ha portato al punto più alto quando quella notte di maggio del 1984 è diventato luce e con quella maglietta bianca ci ha portato in vantaggio contro il Liverpool. Allo Zenit e poi ne abbiamo visto il tramonto. È stato come aver visto il Sole scegliere di morire. Dieci anni dopo. E questo è l’errore, il nostro, non il suo. Di tutti.
E allora forse scrivere e dire che Agostino Di Bartolomei ha amato la Roma persino più della sua vita, che sicuramente per la Roma ci ha vissuto, che quella mattina di merda ha lasciato una foto della Sud contro il Liverpool con un volo di colombe, che un tifoso della Roma non lo deve dimenticare mai, che deve riuscire a capire come e quanto ci ha dato, sarà forse un errore, ma è l’unica cosa che possiamo e che soprattutto dobbiamo fare.
Anche perché al suo confronto ci potevamo solo sbagliare.
Sei stato troppo amore Ago.
Auguri Capitano mio».
Così la Roma, tramite le parole di Tonino Cagnucci, ricorda Agostino Di Bartolomei capitano del secondo scudetto giallorosso.
“Auguri Ago, Capitano mio” perché per la sud sarà sempre il Capitano dei capitani, parte di Roma e della Roma, la stessa dalla quale a un certo punto è stato separato senza separarsene mai del tutto. Agostino Di Bartolomei la Roma ce l’ha sempre avuta a cuore, lo stesso cuore che non ha retto la solitudine e l’indifferenza nella quale il mondo che lo aveva reso grande ad un certo punto ha smesso di cercarlo e di volerlo. Il vuoto, nel quale si è ritrovato, l’ha risucchiato fino a renderlo fragile e solo al punto da convincersi che a colmare quell’immenso vuoto ci fosse soltanto una soluzione: una pallottola sparata dritta al petto. Avrebbe compiuto 61 anni se solo non fosse andata così quel lontano 30 maggio di ventidue anni fa, eppure, nonostante il tempo trascorso da quel tragico giorno, il mondo del calcio si stringe ancora all’unisono di un ricordo potente tanto quanto il suo tiro.
Per commemorare l’anniversario della nascita, oggi, Tor Marancia si è disputata la prima edizione del torneo “Coppa Ago”, in palio la “Junior Cup” conquistata da Agostino con la scuola Borromini nel 1972 ad appena 18 anni, coppa ritrovata negli archivi del Borromini stesso. Protagonisti due licei: Il Caravaggio (che ha inglobato il Borromini) e il Socrate. Il vincitore del torneo custodirà la coppa fino al prossimo anno.
Egle Patané