Tutto è bene quel che finisce bene e archiviate inquisizione, caccia alle streghe e guerra di successione, l’erede al trono è stato decretato. Il braccio di ferro l’ha vinto il fronte Appiano Gentile e, trionfate l’autarchia e l’italianità, Stefano Pioli è il verdetto finale. Uno che conosce l’italiano come lingua e come campionato dissero, uno che possa “normalizzare” e stabilizzare la situazione e, alla fine, il normalizzatore che tanto ricercavano rifiuta, più che la carica, la denominazione. “No grazie”, dice il parmigiano, Pioli vuole essere uno che, oltre a normalizzare, possa potenziare. Potenziare e fare bene da subito e nel lungo periodo specie se i prerequisiti per farlo ci sono tutti, almeno sulla carta. Champions? Difficile ma non impossibile – ammette – pur mantenendosi ben lungi da promesse gratuite e avventate ma provarci è più che di dovere soprattutto se davanti c’è più di mezza stagione.
Italiano dissero e italiano fu, se poi si aggiungono fede e passione il connubio può dirsi più che soddisfacente. “Sono strafelice di essere qua, darò tutto per il club e i tifosi” tra le prime dichiarazioni di Pioli e proprio dai tifosi dice di voler apprendere l’entusiasmo, l’energia e la voglia di lottare elementi fondamentali per una squadra in anemia. D’altronde lui, che nasce da una famiglia interista senza nasconderlo, comprende a pieno l’argomento e a mo’ di gioco del destino si ritrova a esordire in una di quelle partite in cui il tifo è fondamentale (al calo di spettatori presenti negli stadi di Serie A emerge l’eccezione “delle milanesi” in rialzo rispetto anche allo scorso anno).