Pierfrancesco Visci, nato ad Atri 42 anni fa, ha sempre avuto la passione per il calcio. Praticamente visto da ogni angolatura: calciatore, arbitro e poi dirigente. Dal 2002 al 2007, ha fatto parte del Pescara, con molti incarichi tra cui quello di capo ufficio stampa e responsabile della sicurezza, quindi una breve esperienza alla Val di Sangro in C2, dove ha affiancato l’attuale allenatore del Sassuolo, Eusebio Di Francesco, allora nei panni di Ds. Nell’estate del 2008, il passaggio all’Arezzo nel ruolo di team manager e l’anno dopo al Grosseto in Serie B. Dall’estate del 2011, è segretario generale del Brescia Calcio, in Serie B. Ha ottenuto l’iscrizione all’albo speciale dei direttori sportivi nel 2007 diplomandosi col massimo dei voti al pari di Ciro Ferrara e Riccardo Bigon.
Il calcio e Pierfrancesco, più che una passione un lavoro…
Una passione che è diventata un lavoro. È il sogno che ho cullato sin da bambino e che sicuramente grazie alla mia caparbietà, unita a un pizzico di fortuna, è diventato realtà. Chiaramente, poi, per restare “a galla” in questo mondo, come in tutte le professioni, devi saper dimostrare di valere qualcosa. Diciamo che il mio percorso è all’inizio. Lavoro per migliorarmi e migliorare.
Cosa vuol dire vivere una squadra di calcio dall’interno?
All’inizio vivi la cosa col trasporto e l’incoscienza tipica di chi è affascinato. Col tempo diventa un impegno importante e ti rendi conto delle lacune che hai. E allora studi e cerchi di colmare questi vuoti non più con l’entusiasmo ma con la competenza. Dall’esterno si pensa spesso che il calcio sia una cosa facile da fare e da gestire. In realtà una società di calcio è un’azienda a tutti gli effetti che risponde a delle regole precise e quindi tutte le scadenze e gli obblighi vanno rispettati alla stregua di qualsiasi altra categoria. La differenza è che il core business è lo sport, il calcio, ma bisogna organizzarlo sotto tutti gli aspetti senza dimenticare che l’azionista lo considera un business. Come dice il presidente della Lega di serie B, Andrea Abodi, siamo gestori di passioni. Il tempo dei vecchi mecenati è finito da un pezzo e non ce ne siamo ancora resi del tutto conto.
Da qualche anno sei a Brescia, che clima si respira calcisticamente parlando?
Sono a Brescia dal 2011, ossia dall’anno successivo alla retrocessione dalla Serie A, ci sono stati alti e bassi. La precedente gestione Corioni, come quelle di altri club del resto, ha accusato il peso della crisi che si è riversata sulla squadra e non è riuscita a finanziare più il Brescia. L’essere riusciti a rientrare per una buona parte del grosso debito che c’era e l’aver favorito il passaggio di consegne al nuovo proprietario Profida Italia deve comunque essere considerato un ottimo risultato. Potevamo fare la fine del Parma o del Siena, invece, nonostante il peso della retrocessione, siamo ancora qui. Adesso gli scenari sembrano più rosei da un punto di vista aziendale. Speriamo lo siano anche da un punto di vista sportivo.
A proposito di Brescia, lo scorso anno la compagine femminile si laureò campione d’Italia, come vive la città il calcio femminile?
Quello del calcio femminile è un fenomeno atipico. Sarà che la squadra maschile non dava più le soddisfazioni di un tempo, sarà che le ragazze sono riuscite a farsi voler bene a furia di risultati, oggi il Brescia Calcio femminile è una componente importantissima del panorama sportivo bresciano. Lo scorso agosto, in occasione del turno preliminare di Champions League, con le fortissime ragazze del Lione, lo stadio Rigamonti ha offerto un bellissimo colpo d’occhio.
Da uomo di sport, cosa pensi delle frasi del presidente Belloli e di tutto quello che si è scatenato in seguito?
Prima che da uomo di sport sono indignato come cittadino. Belloli ha avuto il merito di aver compattato con le sue affermazioni tutte le componenti del calcio. Personalmente, credo che Belloli rappresenta quella – per fortuna – sempre minoritaria componente conservatrice che ha gestito il calcio negli ultimi anni e che ci ha portato ai risultati degli ultimi anni, in termini di rappresentatività nazionale. Oggi, anche se dall’esterno non sembra, il calcio sta cambiando. Ha capito che l’arroccarsi sulle vecchie e perdenti posizioni non porta a nulla. Io credo anche che i risultati delle nostre squadre nelle coppe europee di questa stagione non siano un caso. Ora dobbiamo vincere un’altra sfida: quella culturale. Il calcio femminile, dove ben sviluppato, è un fantastico portatore di interessi. Anche e soprattutto economici. Lo afferma “Calcio e Finanza” in una bella analisi sui mondiali femminili in Canada, che si stanno giocando proprio in questi giorni. Da quest’anno, nelle licenze nazionali per le serie A e B, c’è l’obbligo di iscrivere squadre giovanili femminili. Dal prossimo anche quelle di Lega Pro. È un lento percorso che porterà nel prossimo futuro ad avere le prime squadre femminili, come succede in quasi tutti i paesi europei. Il prossimo passo sarà quello del cambiamento di status di queste ragazze da dilettanti a professioniste, senza che ciò debba e possa essere visto solo come un aggravio inutile di spese a carico dei club ma come un ritorno in termini di cultura, di immagine e conseguente finanziario.
Francesca Di Giuseppe