La verità è che il punto raccolto ieri all’Olimpico, sia da una che dall’altra squadra, serve meno di quanto si voglia credere e allo stesso tempo più di quanto si possa pensare. Sia una che l’altra compagine che nella nottata di ieri, in quel di Roma, hanno scardinato intere dottrine calcistiche di cui l’Italia ha sempre tenuta alta la bandiera della paternità, hanno di petto salutato, seppur con dovuta prudenza, mamma tattica, cedendo quasi in maniera obbligata, il passo ad un’estetica che a tratti non sembrava neppure un copione tricolore.
A Keita risponde Under con un bellissimo goal alla Nainggo che ha spiazzato prima Handanovic prima del pubblico rimasto altrettanto pietrificato prima di esplodere. Poi, il solito Icardi trascina l’Inter verso la vittoria con un guizzo che supera Olsen ma i nerazzurri vengono traditi dal loro tanto amato Brozovic che da risolvi-guai si improvvisa combina-guai della serata combinandone uno non da poco, allargando il braccio a pochi passi da Handanovic.
Il gesto non sfugge a Rocchi e neppure al Var, Kolarov dal dischetto batte Handanovic che intuisce ma non può nulla, la rimette in parità segnando il 2-2 e riapre le speranze giallorosse che non mollano di un centimetro fino al 95’ quando Rocchi mette il fischetto in bocca e pone fine ad una partita rocambolesca e colorata (prima di sbattere fuori Spalletti).
Un 2-2 che potrebbe accontentare tutti pur vestendo in maniera parecchio sagomata ad entrambe nel lungo periodo, in ottica maggio, quando i piazzamenti forse saranno variati, almeno come Di Francesco and co auspicano. Non può pero lo stesso dirsi nell’ottica del hic et nunc quel pareggio di ieri, onesto e fedele, calza certo meno comodamente all’Inter che alla Roma.
Gli uomini di Spalletti, è vero, contavano un Nainggolan in meno, la cui assenza non è mai soltanto un punto di svantaggio, specie contro la Roma che malgrado fosse parecchio rinnovata rispetto alla sua, non sarebbe sicuramente stata una pagina bianca sulla quale perdersi in scarabocchi. Non per il Ninja che però, ieri, l’ha vissuta forse meno male di quanto avrebbe fatto se l’ingresso all’Olimpico l’avesse fatto con i tacchetti. Una ferita troppo aperta per Radja che forse ieri è stato graziato da un destino che gli è stato lieve, almeno nell’uno contro uno con passato e sentimenti.
Al suo posto un attento Joao Mario, sempre più interista, continua a render onore a quella promessa (o sfida a se stesso, chi lo sa) di trasformare i fischi in applausi.
Il portoghese talvolta leggerino nel farsi anticipare, si è più volte fatto perdonare nelle letture di gioco, in fase di non possesso e anche nei rettangolini in cui veniva relegato quando pressato veniva braccato. Sulla trequarti Spalletti ha preferito Joao a Borja che però è stato premiato per la prestazione di Wembley con la titolarità al posto di Vecino, entrato in campo a dieci dalla fine nel tentativo di un ennesima artigliata propizia a rimediare l’errore del compagno di reparto. Vano però il tentativo di Spalletti di rifornire la squadra nelle battute finali, sia con Vecino e Lautaro, entrati praticamente insieme al posto di Borja e Perisic allo stremo.
Ed è qui che casca il buon Luciano, di nuovo sul taccuino del direttore di gara, a detta dell’allenatore giusto, ma probabilmente eccessivamente severo nell’allontanarlo dal campo per una reazione giudicata troppo scomposta. A cadere il tecnico nerazzurro, nonchè ex giallorosso che ieri ha giocato praticamente in casa, non solo tra i nomi puniti da Rocchi, bensì anche e soprattutto nei tempi di reazione.
Se dell’undici iniziale non gli si può riconoscere ed encomiare l’audacia nello schierare Keita, altrettanto non si può dire nella scelta, lasciatemi dire leggermente ostinata, non solo di schierare Perisic anche quando starebbe meglio in panca, addirittura di lasciarlo vegetare in campo senza preoccupazione alcuna di rischiare fin troppo quando in esame c’è il sopracitato croato.
Il numero 44 nerazzurro, di cui si aspetta ancora il ritorno dalla Russia, da buon tradizionalista quale abbiamo imparato a conoscere che è, ha inserito la modalità risparmio energetico perpetuata. Se dinnanzi al suo 50% (volendo essere generosi) d’impegno mentale e fisico impiegato finora, gli interisti avevano provato a sopportare silenti per il bene della squadra, ogni buono proposito in suo favore è decaduto con le parole che hanno condito il pre match di Londra durante il quale si è lasciato sfuggire un non troppo intelligente apprezzamento alla Premier che più che apprezzamento sapeva di auto-candidatura.
Se però proprio nell’occasione di Londra in molti gli hanno imputato una verve da assenteista mettendolo sul podio nella lista dei colpevoli forse fin troppo duramente, non suonano altrettanto duri i ‘quid quo pro’ rimproveratogli nella prestazione di ieri, durante la quale ancora una volta il croato ha sbagliato poco in doppia fase ma sprecato troppo in fase offensiva.
Più di uno gli errori davanti commessi da un Ivan lontano dall’essere terribile, non lì davanti almeno, dove calibra male le misure nello stacco di testa quanto quelle nello spedire i palloni con destinatario Mauro, imprecisione e poca grinta gli cuciono addosso l’ombra di chi non ha mordente.
Quattordici partite e 1360 minuti giocati e due soli sia i gol che gli assist collezionati finora, numeri tutt’altro che piacevoli per un attaccante laureatosi vicecampione del Mondo in un Mondiale durante il quale è stato più che un semplice vice. Dalla Russia, come già detto, Ivan sembra non essere mai tornato e più che spaesato e senza mordente sembra essere stato privato di idee e persino gambe e qualità.
Punto e a capo, o pausa e rewind?
Perché quella di Perisic sembra una storia già vista e la sua altalenanza più che una possibilità sembra esser diventata certezza. Così come lo scorso anno e quello prima ancora, il signore lì davanti compare a giorni alterni, o per dirla tutta, a periodi alterni, avvicendando gironi di ritorni esemplari a gironi d’andata clamorosamente sotto tono, anche quest’anno la situazione non sembra essersi discostata molto dalle puntate precedenti. Sarà forse la consapevolezza del valore del croato il fattore scatenante dell’ostinatezza spallettiana nel conferir fiducia reiterata a chi, ogni tanto, sarebbe meglio delegittimare per il bene individuale e della squadra.
Le prestazioni di Keita in crescendo con il minutaggio potrebbero minare la titolarità del croato sulla fascia sinistra che continua ad essere suo appannaggio indiscusso (come dimostra l’inversione di ruolo tra i due a partita in corso rispetto alle posizioni iniziali che prevedevano il senegalese a sinistra e il croato a destra), appannaggio che perderebbe se Spalletti ‘subisse meno il carisma’ di quelli che lui stesso designa come indiscussi e indiscutibili.
La sostituzione tardiva di un Perisic praticamente nullo da più di una buona manciata di minuti ha avallato le teorie di chi aveva storto il naso già contro il Tottenham nella scelta di schierare titolare Nainggolan riuscito a convincere l’allenatore malgrado fosse ben conscio del fastidio di cui il Ninja era attanagliato. Mosse che delegittimano il carattere di un allenatore che ad onta di quanto si senta dire in giro sta guidando una squadra verso una crescita che tornando allo scorso pareggio con la Roma (quello di gennaio a San Siro) sembrerebbe quasi utopica.
La chiave di lettura che la gestione Perisic consegna ai più è ad onor di numeri ed onestà forse troppo severa, eppure i vari sentori di malcontento dei tifosi potrebbero fungere da campanellino d’allarme a Spalletti che da gestire adesso avrà diversi fili sfilatosi dalla maglia: dall’infortunio di Nainggolan a Perisic svogliato, passando per un Epic in deterioramento più mentale che fisico dovuto ad un palese ed inevitabile calo dal quale urge correre ai ripari.
Brozo da Epic risolvi guai e Pollon combina guai
Dopo essersi aver quasi conquistato l’Olimpo diventando epico nella notte del Camp Nou, lì dove giocano gli dei, Epic Brozo sembra essere sfiatato e arrivato sul monte, quasi non trova l’energia giusta per poter varcare la soglia del templio. E pur sempre da posizione privilegiata, decide di passare da Epic risolvi guai a Pollon combina guai.
Se Rocchi, che non è solito avere abbagli, si lascia clamorosamente beffare dalla prospettiva e dall’alterigia nel non consultare il VAR nell’occasione del fallo su Zaniolo e il VAR, dal canto suo, gli legittima la scelta non richiamandolo al vaglio dell’episodio, non replica lo scivolone nel penalty platealmente regalato dal croato, solitamente pilastro portante di questa Inter di Spalletti.
Marcelo infatti, fortunatamente tornato concentrato e lucido rispetto a Londra, soffre sì, sui punzecchiamenti del baby Zaniolo ma raramente si lascia spodestare dal suo ruolo, riuscendo a tessere in estrema lucidità le maglie del gioco nerazzurro nonostante più volte gli si venisse sottratto lo spazio a disposizione. Il suo timbro lo incide sul 2-1 inzuccato da Icardi servito proprio dal signore di cui sopra che poco prima aveva preso il timone dalla bandierina quasi d’arroganza. Perfetto fino a quel momento, rovina tutto quando su un’incursione giallorossa e il pallone in aria in area non sgomberato da Perisic, come un ragazzino nel campetto dell’oratorio allarga il braccio regalando di fatto il pareggio ai romanisti.
Un errore costato carissimo all’Inter e persino al giocatore stesso che da dilettante macchia una prestazione che fino a quel momento meritava un voto che restituiva quanto sottratto in quel di Wembley ma così non è stato e ad essere sottratti anche i due punti in classifica in più che l’Inter avrebbe potuto contare se non si fosse lasciato spazio alle distrazioni.
I punti venuti meno con il rigore di Kolarov non disperano certo i nerazzurri che siedono al secondo posto con 29 punti al fianco dei partenopei, questa sera in campo contro l’Atalanta, se non fosse che fra quattro giorni ad attendere Spalletti and co ci sarà la Juve allo Stadium che a differenza dello scorso ponte di Sant’Ambreous (quando si è disputato curiosamente lo scorso Juve-Inter) vanta uno in più in zona d’attacco, e non proprio un nome a caso. Ma a preoccupare, a dirla tutta, non è esattamente la partita di venerdì contro la Juve quanto quella del martedì successivo contro il PSV, gerarchicamente più importante nella lista delle priorità.
Brozovic chiaramente stanco potrebbe necessitare un riposo, Nainggolan in forse, Perisic che non dà certezze, Vrsaljko che non ha ancora potuto mostrare il meglio di sé e Borja Valero che difficilmente potrà mantenere questi ritmi alla lunga, annebbiano i pensieri di Spalletti che dovrà far sì tesoro della partita di ieri rivelatasi bella e divertente e del punto accalappiato in un campo mai scontato, ma anche e soprattutto tirare fuori, un po’ come Perisic, quella grinta in più che ieri così come a Londra sarebbe servita a chiudere la partita, sciorinando in bella vista quel mordente che l’Inter deve avere per scongiurare un altro Natale dai toni verdastri da Grinch.
Egle Patanè