Il calcio a volte è strano, talmente strano che non riesci a spiegarlo. Si avvale di leggi che è difficile comprendere se non guardandole dal lato opposto, contraddicendone le tesi per poi farne una sintesi (che magari non sempre conferma la tesi).
Juve-Parma è una di quelle partite che rendono proprio giustizia al luogo comune di cui sopra: il calcio a volte è strano. Tanto strano da infliggere agli uomini di Allegri la legge del contrappasso che quasi sembra dar ragione al suddetto quando dice che non è il bel gioco a portare a casa i risultati.
Quasi per una rarità la Juventus di ieri sera era quasi divertente da vedere: ai ritmi alti di una partita animata i bianconeri hanno condito il tutto con fraseggio, costruzione di gioco, pressing e una circolazione della palla che deliziava i pochi tifosi sugli spalti di uno Stadium non così pieno (alla faccia di Ronaldo).
Con un pizzico di fortuna personale è il migliore della rosa a sbloccare la partita e su una palla servita da un Matuidi non bellissimo da vedere ma sempre efficace, il numero 7 beffa Sepe e porta in vantaggio la Juventus mettendo la partita in condizione di sembrare a tinte più bianconere.
A spaventare il Parma non è soltanto il pluri-pallone d’Oro: uno sfortunato Sami Khedira imbastisce una delle migliori prestazioni dell’ultimo periodo, facendo ricredere, almeno per una notte, tutti quelli che lo danno per finito. Inserimenti tra le linee e intuizioni, assedia la metà campo avversaria per buona parte del primo tempo e anche del secondo fino all’ingresso di Bentancur che prende il suo posto.
La porta crociata sembra quasi davvero stregata dagli attacchi del tedesco che prova la conclusione più e più volte trovando però il palo sinistro nella prima parte di gara e quello destro nella ripresa. Immediatamente dopo i guantoni dell’estremo difensore gialloblù che riesce ad essere miracoloso per quasi tutta la partita, almeno fino ai gol dove a beffarlo è due volte il (non) qualunque Cristiano Ronaldo.
Ma i meriti non sono solo al più gettonato di tutti perché nella terza rete bianconera firmata CR7 c’è l’intervento e l’assistenza di quel signore che davanti al sette ha l’1. Parliamo di Mario Mandzukic, l’uomo che nelle partite pesanti mette sempre lo zampone, l’uomo delle finali e che anche in quella a Mosca ha fatto più di una semplice comparsa ritagliandosi, al contrario, un ruolo da protagonista. Ma così come in quella finale, anche ieri lui fa e lui disfa.
Ad un primo tempo quasi sontuoso, Marione controbilancia un errore sul finale da pivelli quasi imperdonabile che favorisce, se non regala, il gol del pareggio di Gervinho che fa implodere lo Stadium in un silenzioso e sconcertato shock.
Tre a tre. Clamorosamente tre a tre. Il clamore risiede proprio nel fatto che ad una partita che sembrava veramente appannaggio dei padroni di casa, sbuca fuori un Parma che al netto del risultato meriterebbe una standing ovation quantomeno per il carattere e lo spirito di squadra. Appunto, lo spirito di squadra.
Quello che alla Juve, per quanto solida e forte viene meno, così come dimostrato da partite come quella all’Olimpico, risolta dai singoli, nella fattispecie Cancelo che entrato a partita in corso gode di freschezza e lucidità e prima trova il gol poi si guadagna il penalty capitalizzato poi da Ronaldo.
La difesa senza la BBC, che disastro!
Ma non sempre l’intuizione del singolo appaga e proprio l’ex terzino nerazzurro, miracoloso a Roma, è tra quelli che ieri hanno parzialmente deluso; il portoghese inarrestabile sulla corsa e nella spinta in avanti pecca ancora in fase arretrata e se solitamente alle sue piccole défaillance ci sono almeno due su tre della BBC, questa volta soffre proprio la mancanza di sussidi in difesa, dove al posto dell’immenso Chiello o del duro Bonucci, si ritrova Daniele Rugani e Martin Caceres.
Il primo ha il merito di andare in gol, raddoppiando il vantaggio firmato da Ronaldo, salvo poi trovarsi sfortunatamente complice nel secondo gol dei parmigiani con una deviazione di cui non ha neppure particolari colpe. Le vere negligenze che lo consegnano all’insufficienza sono piuttosto disabilità e goffaggine al cospetto dei due attaccanti crociati Inglese e Gervinho che nel secondo tempo tirano fuori le grinfie e lo relegano alla sofferenza.
Il supporto del ritorno di fiamma Caceres non è certo dei migliori e se il classe ’94 ha sfigurato parecchio, anche l’uruguaiano appena tornato non ha certo imbastito una prestazione di presentazione impeccabile. Se nella prima parte di gara ha contenuto più che bene l’ex Chievo, nella seconda parte di gara avviene il rovesciamento della medaglia.
Quanti demeriti ad una Juve che in casa cede il passo ancora una volta ad una ‘piccoletta’ che non t’aspetti. E infatti, ancora una volta, come a Bergamo cinque giorni fa, a perdere è proprio il grande che sottovaluta il piccolo. Pareggiare non perdere, certo! Ma quel pareggio ha proprio i contorni di una vera e propria sconfitta, se non altro per il modo in cui è arrivato: un recupero che da una capolista con tanto di distacco non dovrebbe permettere, dato per altro che non si verificava dal 2017 e forse la cosa è più profonda di quanto si possa voler credere.
Come con la Lazio la Juve cade in crisi di idee non appena l’avversario tira fuori testolina e carattere e punta sull’orgoglio e la voglia di fare e come contro l’Atalanta basta un calo d’attenzione per farsi beffare e di brutto. Un’amnesia non più insolita ma quanto pare reiterata, visti i due precedenti, che potrebbe essere un campanello d’allarme se solo non si pensasse a trovare gli alibi.
Ma Allegri ne ha sempre uno in serbo e spocchioso, ai microfoni, dice di aver accontentato chi richiede il bel gioco piuttosto che fare un mea culpa in una gestione che, malgrado le complicazioni del caso (con il doppio infortunio prima di Douglas Costa, poi di Bernardeschi) poco ha a che vedere con l’accontentare qualcuno e che, al contrario, sembra essere il contrappasso di una tesi che forse, a guardar bene le ultime partite, inizia a vacillare.
Egle Patanè