Paolo Di Canio è una di quelle personalità che nel mondo del calcio non riescono mai a mettere tutti d’accordo, anzi: o lo si ama o lo si odia, le vie di mezzo sono impossibili.
Era scritto sull’asfalto attempato del Quarticciolo: il giovane Di Canio era destinato alla Lazio, la sua Lazio.
Appena qualche mese dopo il suo esordio in Serie A segna il gol decisivo nella partita più importante, il derby della capitale, ed esulta come Chinaglia sotto la curva dei rivali di sempre.
Le polemiche, anche con i suoi stessi tifosi, saranno una costante della carriera di uno scoppiettante Di Canio.
Un attaccante pieno di talento ma dall’anima tormentata, quella che lo portava sempre allo scontro con Trapattoni in maglia bianconera. Quella che lo fece trasferire in un’amara Napoli e poi al Milan.
Forse l’Italia non è pronta per Paolo Di Canio, il suo estro, il suo carattere spigoloso.
Allora approda in Scozia, a Glasgow, nella parte della città che appartiene ai The Hoops del Celtic.
La magia del Celtic Park, le vena di follia dei tifosi del Celtic e l’atmosfera elettrica che si respira in Scozia sono quello di cui Di Canio ha bisogno.
Gioca una delle stagioni migliori della sua carriera e nel 1996 lo votano giocatore dell’anno.
Forse il Regno Unito è il posto giusto per i geni incompresi come lui anche se il clima anglosassone non smorza affatto la miccia del suo carattere.
Celebri le 11 giornate di squalifica che rimediò in Premier League per aver spinto un arbitro.
Durante il periodo trascorso nella massima serie inglese Paolo Di Canio è croce e delizia nel ruolo di attaccante.
Mentre milita nel West Ham vince il FIFA Fair Play Award per il suo gesto nei confronti del portiere avversario dell’Everton. In quell’occasione Di Canio dimostra al mondo che non è soltanto una testa calda.
Dietro al talento c’è il cuore, tanto cuore, che spesso prende il sopravvento sulla ragione. Un qualcosa che a noi italiani non è nuovo.
Diventa uno dei giocatori italiani più amati all’esterno, probabilmente anche grazie alla sua tempra.
Ma in qualche modo il cerchio si chiude e il luogo in cui Di Canio decide di ritornare per dare il suo addio al calcio è la Lazio, tormentata quasi quanto lui.
Nell’ultima parte di carriera alla Lazio vediamo Paolo Di Canio in tutti i modi in cui abbiamo imparato ad amarlo.
Arrabbiato con un allenatore, squalificato per un’esultanza sbagliata, eroe dei derby, incubo dei romanisti.
In qualche modo Di Canio torna ad essere l’idolo delle folle, emozionato di avere di nuovo addosso la sua casacca biancoceleste.
Uno come Di Canio poi riesce sempre a far parlare di se, a spaccare le tifoserie e le opinioni.
Chissà forse in Italia avremmo dovuto apprezzarlo di più se per tanti anni gli stranieri ce l’hanno invidiato.
Neanche una convocazione in Nazionale per Paolo Di Canio, forse perché la sua fama lo precedeva.
Lui ha sempre scelto di far parlare il pallone al posto suo e raramente in questo ha avuto torto.
Federica Vitali