Roberto Baggio è stato l’uomo che ha ispirato la mia vita e il 18 febbraio, da quasi 30 anni, non è un giorno normale: è il giorno del suo compleanno. Baggio, nato a Caldogno nel 1967, oggi compie 49 anni e da dodici non gioca più. Da allora per me il calcio non è più stato lo stesso, per dirla alla Cesare Cremonini “da quando Baggio non gioca più…non è più domenica”. Se chiudo gli occhi lo vedo correre con quei grandi ricci al vento e seminare il panico nel centrocampo del Napoli in quell’indimenticabile slalom fino alla porta, vedo il suo codino e quegli occhi fieri e riservati, lo vedo trascinare gli Azzurri alla famosa finale di Pasadena durante i Mondiali Usa ’94, lo vedo sbagliare quel maledetto rigore… ma in tanti sogni (come in un famoso spot pubblicitario) quella palla gonfia la rete, come avrebbe meritato e lui alza quella Coppa del Mondo che tanto gli è mancata. Ha vinto poco il Divin Codino, ha ricevuto tante critiche da allenatori e giornalisti ma è stato tanto amato dalla gente a prescindere dal colore della maglia. Tifosi e non hanno visto una purezza e una onestà che oggi sono sentimenti e merce rara.
Di Roby ho nel cuore le giocate sopraffine, quella capacità di accarezzare il pallone, i dribbling e le accelerazioni. Ricordo anche gli infortuni, le mani sul viso e i mesi di assenza. Le operazioni e la voglia di tornare sempre più forte di prima, nonostante i dolori e le ginocchia che non gli hanno mai permesso di esprimersi al 100%. Di Baggio ho ammirato anche l’abnegazione alla pratica buddista, la recitazione giornaliera del Daimoku per ricevere la forza necessaria per raggiungere i propri obiettivi. Ammiro l’amore per la sua famiglia: tre figli e una moglie che lo ha sempre seguito nell’ombra senza la smania di protagonismo.
Auguri Roberto e grazie per avermi insegnato che le cose migliori che facciamo, anche le più semplici, sono quelle in cui ci mettiamo la passione.
Alessia Acanfora