Troppo spesso nelle analisi di una vittoria si risolve attribuendo ogni merito al singolo fuoriclasse: ma nel calcio non è, e non può essere, veramente così
Rovesciata da applausi e standing ovation: così si è conclusa la prova allo Stadium di Cristano Ronaldo, incornonato per l’ennesima volta monstre del calcio europeo -e mondiale. Eppure per quanto il club che lo annovera tra le sue maglie sia più che fortunato, in troppi commettono lo stesso errore di pensare e affermare che CR7 vinca da solo.
Quante volte l’ho sentito dire? “Eh, chiunque vincerebbe la Champions con Ronaldo e Messi”. Non è così semplice, o meglio, semplicemente non è così: il calcio è uno sport di squadra e tale resta anche se hai in campo un valore aggiunto della portata dei sopraccitati. E non lo dico per pura retorica.(immagine da calciomercato.com)
Chi ha lavorato per anni alle spalle di Lionel Messi nel Barcellona? Uno dei centrocampi più forti di sempre, composto da Xavi, Iniesta e Busquez, e mettiamoci anche Fabregas: i primi due tra l’altro cresciuti insieme, con lui, nella cantera blaugrana e capaci di giocare a memoria azzeccando il 93% dei passaggi (percentuale da capogiro, a mio modesto avviso). Ecco – senza nulla togliere alla Pulga, per il quale stravedo – con chi è cresciuto il diez argentino. Robetta.
Simile discorso per il portoghese dei Blancos. Cristiano era un grandissimo giocatore al Manchester Utd, tanto da vincere un Pallone d’Oro, ma è al Real che è diventato CR7; soprattutto lo è diventato quando il Real ha cominciato a crescere con lui e per lui. Più i Galacticos si sono armonizzati intorno alla figura del loro sovrano, più lo stesso sovrano ha regnato con fulgore: a riprova che nessuno brilla di luce propria e che Kroos, Modric e Isco sono oggi costante fonte di ispirazione per l’indomito centravanti.(immagine da torinoday.it)
Altri esempi dal passato possono confermare queste tesi: ricorderete la Juve di Platini, il Re che viveva delle corse di Massimo Bonini e delle finalizzazioni di Zibi Boniek, in un constante e fluido dialogo sul quale Michel si appoggiava e talvolta ne rideva con l’Avvocato; nella stessa Francia di “Le Roi”, splendida Campionessa d’ Europa del 1984, il ‘dieci’ si avvaleva di compagni di reparto straordinari come Tigana e Giresse. Ancora, il Napoli di Maradona – per quanto Diego sia l’espressione più assolutistica e anarchica dell’ego del fuoriclasse – non sarebbe stato lo stesso senza la collaborazione preziosa di Salvatore Bagni e di Bruno Giordano; e di tanti gregari che correvano, smistavano palloni, cucivano reparti in nome di quel furetto che partita dopo partita li conduceva alla vittoria finale: tutti preziosi, tutti importanti.
L’ esatto opposto di quanto detto lo vediamo nel PSG: un contesto ricchissimo, che ha investito un patrimonio economico senza mai eleggere una figura di spicco intorno alla quale creare un gruppo vincente: un insieme di singoli fortissimi ma comunque singoli, che non crescono e non fanno la differenza. Nemmeno Neymar, pagato una fortuna che sa di scandalo, è riuscito a invertire la tendenza.
Il calcio è uno sport di squadra e la sua essenza non si può cambiare: si può invece – al pari di Real e Barcellona – decidere di puntare tutto su una figura straordinaria, che diventi il Sole intorno al quale far girare tutti gli undici in un rapporto continuo di interscambio che accresce il merito del singolo come del collettivo. Un progetto in cui i campioni crescono insieme confrontandosi da campioni, in cui il più brillante e dotato – il fuoriclasse – non può che trarre stimoli e spunti di progressione continua. E allora assistiamo alla nascita di quelle corazzate che dominano oggi in Europa e che noi in Italia possiamo sì invidiare, ma senza nasconderci dietro l’ombra del solo fenomeno.
Nel calcio, un po’ come nella vita, nessuno vince da solo.
Daniela Russo
(immagine copertina da redbubble.com)