L’immagine più forte, più vera di Pavel Nedved calciatore la ritaglio direttamente dalla semifinale di ritorno di Champions League, contro il Real Madrid, quel 14 maggio 2003.
Pavel, indiscusso protagonista della partita, autentico trascinatore dei bianconeri, viene ammonito per la seconda volta e, disperato, scoppia in lacrime. Perchè quell’ammonizione per lui vuol dire squalifica. Non ci sarà nessuna finale per lui.
E quelle lacrime sono di chi sente già, forse, che quella stessa finale è già perduta.
Pavel Nedved conosce perfettamente cosa voglia dire avvicinarsi a quel trofeo così vicino da poterlo sfiorare, ma non riuscire mai a afferrarlo. Lo ha provato in maniera violenta, crudele. Così come lo ha provato ben sette volte la Juventus, lì a guardare quella Coppa con i suoi nastri bianchi e neri su una delle Orecchie e veder poi, puntualmente, quei nastri sciolti e messi da parte.
Per la prossima volta, e ancora, e ancora.
Fa male. Fa veramente male.
E’ in questo contesto che vanno inserite le parole del Vicepresidente, parole forti, iconiche:
“Solo quando avrò portato a casa la Champions, potrò trovare pace”.
Nedved merita un applauso, per queste parole. Perchè ha avuto il coraggio di non nascondersi dietro a frasi fatte, tiritere inutili solo per riempirsi la bocca:
La Champions è un sogno.
Non siamo noi i favoriti.
La Champions non deve essere un’ossessione.
Nedved ha avuto il coraggio di parlare da Juventino: e per uno Juventino la Champions è proprio ciò che per convenienza e buon costume non si vuole dire.
UN’OSSESSIONE
Un’ossessione per la quale sei disposto a dare tutto, a provare di tutto, a sputare sangue e a far sputare sangue ai tuoi giocatori e ai tuoi avversari.
Queste sono le parole giuste: bisogna vincerla per trovare pace. Provate un po’ a sostituirle a quelle pronunciate da Allegri, qualche settimana fa.
Suonano decisamente, decisamente meglio.
Daniela Russo