In un universo parallelo, si potrebbe pensare che il meraviglioso e irripetibile Napoli di Sarri sia stato da lui costruito e da lui stesso distrutto.
La crisi del Napoli, tra prestazioni in campionato al limite della decenza e problemi interni alla società (al netto dell’ormai avvenuto esonero di Carlo Ancelotti e l’arrivo di Gennaro Gattuso), è ormai chiara e lampante e non ammette più giustificazioni: semmai ce ne fossero state.
L’approdo agli ottavi di Champions League ha sancito la fine un periodo che ha evidenziato un non feeling tra calciatori e allenatore. Nell’ultimo mese se ne sono sentite davvero tante su questo tema.
Allenamenti giudicati blandi, continui cambi di modulo ad ogni partita, giocatori visti come fuori ruolo, infortuni troppo frequenti: molti comunque, ricordiamolo, sono maturati durante le partite ufficiali in scontri di gara.
La storiaccia dell’ammutinamento del 5 novembre poi, ha messo in luce il viaggiare su binari diversi di squadra e mister. Fatto sta che Ancelotti – il primo a pagare e pensiamo non l’unico – è stato sostituito dal suo allievo Gattuso: il quale però, ereditata una squadra ancora di impostazione mentale ancelottiana (vedansi le ultime prestazioni), è stata ferita a morte dal Parma dopo un micidiale contropiede nel recupero.
Nulla ora si può dire a Gattuso, avrà tanto da lavorare e da “miracolare”. Ad Ancelotti si è detto quanto di peggio possibile, soprattutto dalla parte più marcia della tifoseria azzurra.
A oggi, vista la situazione con un Napoli lontanissimo dalla zona Champions, distante dall’Europa League e con un occhio addirittura alla zona retrocessione (per i più tragici), si parla tanto di rottura di un giocattolo perfetto.
Quello creato da Sarri nel magico triennio 2015-2018, con la seconda e terza stagione in special modo, ricche di emozioni e vittorie seppur senza trofei o titoli conquistati. Lo hanno chiamato proprio così, un giocattolo perfetto.
Una macchina creata ad hoc per eseguire a menadito una tipologia di gioco ripetitivo, continuativo che ha incantato e fatto tremare gli avversari ad ogni partita.
La creatura di Sarri, la sua intuizione su Mertens “falso nueve”, gli schemi, quella formazione ormai più famosa della prima declinazione latina, il calcio spumeggiante e divertente visto nel 90% degli incontri disputati sia in Champions che in campionato resteranno negli annali del calcio oltre che nella storia del Napoli.
Ma ci si chiede: quanto di noir ci fosse in quel mondo arcobaleno chiamato Napoli di Sarri?
Quei giocatori che hanno vissuto il periodo d’oro con Sarri, a guardarli ora, non sono nemmeno l’ombra di loro stessi, ma sono zombies. Prestazioni inguardabili, errori colossali, incertezze, incomunicabilità tra i calciatori in campo: sono sintomatici non solo di un ciclo finito e di giocatori spompati per età e permanenza nella stessa squadra.
Tutto frutto del post Sarri? Oppure lo stesso tecnico toscano, con i suoi rigidissimi metodi, gli allenamenti ripetitivi ed estenuanti, è responsabile in qualche modo della spersonalizzazione dei calciatori “vecchi”, incapaci, dopo di lui di giocare e stare alle regole di un altro allenatore?
Ipotesi non troppo surreale, se messa nel mucchio delle ipotesi più assurde avallate in tempi più o meno recenti.
Se così fosse, forse andrebbero di molto ridimensionati quegli anni, ci si dovrebbe guardare bene dal giudicarli favolosi ed irripetibili anche senza titoli e trofei. Se così fosse, si dovrebbe ammettere l’enorme errore di un tecnico che ha plasmato una squadra trasformando i suoi membri in robot, rendendoli incapaci di rendere nello stesso modo in cui hanno reso al massimo con un solo allenatore.
Forse eccezion fatta per Jorginho, Albiol e Higuain (quest’ultimo ha ritrovato comunque Sarri alla Juventus, rivivendo una seconda giovinezza), l’ipotesi non pare così assurda né tantomeno fantascientifica.
I nomi storici del Napoli, oltre ai problemi legati alle relazioni con la società, hanno problemi di rendimento in campo: se si dice che la testa sia fondamentale per rendere al massimo, cos’altro mina la loro serenità e capacità di creare gioco e finalizzare?
Ai posteri l’ardua sentenza, al Napoli l’arduo compito di tornare NAPOLI!
Simona Cannaò