All’uscita dalla Coppa Italia e il frantumarsi di quello che sarebbe potuto e dovuto essere un concreto obiettivo da raggiungere, si aggiunge la terza défaillance e un ennesimo campanello di allarme di una situazione che per la squadra guidata da Luciano Spalletti ha tutti i contorni di un’emergenza a gran squillo.
La sconfitta di ieri contro la Lazio rappresenta solo l’ultimo dei flop nerazzurri in caduta libera verso il baratro della depressione e non a caso i tifosi nerazzurri sono già nel limbo tra l’amarezza e la delusione che sfocia nel tipico disfattismo di chi, ad un passo dal toccare il cielo, continua a ritrovarsi catapultato nel bel mezzo di un’arida distesa stepposa chiamata gennaio.
Le turbolenze scatenatesi negli ultimi giorni di mercato hanno ulteriormente infuocato gli animi e i rigori di Lautaro e Radja hanno versato quella amarissima goccia che ha fatto traboccare un vaso colmo quanto quello di Pandora. E cominciano le paturnie di chi inizia ad urlare a suon di click e hashtag che, però, lasciano il tempo che trovano nel vero significato del termine. D’altronde la memoria volubile, talvolta ingannevole, del tifoso è ormai fatto noto e dall’esaltazione più adrenalinica alla depressione più totale il passo è breve.
Ad andarci di mezzo è sempre, come da copione, il cattivo di turno che si rinnova di anno in anno. Lo scorso anno erano in tanti ad essersi prontamente muniti di spumante alla notizia di Brozovic al Melià in procinto di firmare con il Siviglia, delusi poi da un Luciano Spalletti che si oppose fermamente alla cessione del croato che lo riportò in Pinetina già l’indomani; gli stessi che urlavano a gran voce per il mancato arrivo di Pastore salvo poi ravvedersi quando, quell’11 marzo, si ritrovarono costretti a deporre le armi e applaudire a gran voce lo stesso croato fischiato e ri-fischiato nelle settimane precedenti.
E anche quest’anno il registro non cambia, riparte il 45 giri e tac: #Nainggolanindegno, #Spallettiout e via discorrendo.
La squadra non è certo d’aiuto e la prestazione di ieri è solo l’ennesima di una stagione finora altalenante e non poi così soddisfacente malgrado la posizione in classifica, frutto (a dirla tutta) anche dei tanti strafalcioni di quelli dietro che, però, difficilmente continueranno a regalare terreno alla Beneamata da qui in avanti. E allora si ripijasse sta benedetta, maledetta e ri-benedetta Inter, ma questo è un altro discorso e torniamo al punto focale: Radja Nainggolan.
Sia maledetto Radja Nainggolan, cit.
Questo becero romanista arrivato ad Appiano che nulla fa per meritare quella maglia – ancora cit. Che avrà fatto mai per il bene dell’Inter? Effettivamente nulla, diremmo ad occhio e croce. Peccato (o per fortuna) che dai tempi delle crocifissioni sono pure passati giusto 2000 e passa anni e prima di relegare qualcuno alla sedia elettrica (che è più a passo coi tempi) forse sarebbe meglio riguardare bene la fedina penale.
Che Radja Nainggolan non sia certo uno stinco di santo lo sappiamo da praticamente il 2 gennaio 2010 e se qualcuno si era aspettato una beatificazione una volta approdato a Linate, dovrebbe rileggere il retroscena di Peter Pan dietro il quale si nasconde la più triste delle storie. Eppure Nainggolan è questo qui, lo era a luglio, lo è a gennaio ma soprattutto lo era pure quando è diventato il migliore dei centrocampisti del campionato nostrano senza rinunciare, né far mistero, alla sua vita privata (fatta di eccessi e non certo conformi all’idea di atleta perfetto, ma tant’è).
Non certo una presa di parte ma un semplice promemoria di quanto, appunto, la memoria sia – ripeto – volubile e corta. E quelli che da ‘Ollellè ollallà Radja Nainggolan, Radja Nainggolan‘, son passati a ‘Radja vattene‘, dovrebbero forse ricordarsene.
Ma torniamo al campo: le questioni che riguardano il belga sono controverse e svariate e forse la fedina penale del suddetto è meno sporca di quanto i più tendono a voler vedere, mostrare e sciorinare.
Il Ninja durante la preparazione estiva è stato vittima di un infortunio che l’ha tenuto fuori dai giochi per tutta la tournée estiva e le prime due di campionato contro Sassuolo e Torino (persa e pareggiata). Il suo esordio ufficiale in maglia nerazzurra è avvenuto il primo settembre contro il Bologna, partita durante la quale si presentò ai neo tifosi alla Nainggo maniera: su assist di Politano, prima controlla e poi calcia con un destro secco e potente che supera Skorupski e sblocca la partita ferma fino a quel momento sullo 0-0.
Prima presenza, primo gol, prima vittoria nerazzurra. Dopo la sconfitta contro il Parma, seconda interista (ma l’unica con Nainggolan titolare per tutti i 90 minuti), si sono succedute sette vittorie, tutte con il Ninja in campo e in crescendo che avevano fatto ben sperare rispetto all’infortunio estivo di cui si stava pian piano perdendo traccia ma Biglia al derby ne ha bruscamente frenato e, a quanto pare, stoppato recupero e maturazione.
Da quell’Inter-Milan il Ninja non è più stato lo stesso, complice un ritorno in campo fin troppo accelerato che lo ha portato in campo già contro il Genoa e anche in quell’occasione in gol, capitolizzato in sette minuti (entrato all’87’ e segnato al 94′) e poi le forzate presenza contro Barcellona e Tottenham in entrambi i casi in evidente forma stentata al punto da essere sostituito al 68′ col Barca e addirittura al 44′ contro gli Spurs.
Tra una presenza e un’altra, mai per novanta minuti, arriva la clamorosa punizione che lo ha visto escluso nella partita contro il Napoli e da quel giorno la presenza di Radja è sempre stata di poco superiore alla mezzora. Settimana scorsa contro il Toro, in campo per soli 36 minuti, si è reso protagonista di uno sciagurato tiro buono se giocassimo a rugby che ha replicato ieri contro la Lazio, in campo per soli 14 minuti.
L’Inter tradita dal rigore del Ninja ma…
Nonostante si parlasse di un Radja quasi recuperato, malgrado non ancora al top della forma, Spalletti ha atteso 106 minuti prima di farlo entrare in campo, inserito al posto di un maldestro Candreva che avrebbe meritato la sostituzione già alla prima manche di gioco. Ma poco c’è da speculare e questo è quanto concesso all’ex giallorosso che in quei quattordici minuti di gioco si è reso capro espiatorio di una partita giocata male e gestita peggio, salvata dai soli Handanovic e Brozovic unici germogli in un mare di sterilità.
Eppure al tiro alto spedito sugli spalti che ha fatto rammaricare e infuriare insieme, Radja ne aggiunge un altro al 113‘ dal limite dell’area ma la difesa biancocelste è ben piazzata e respinge. Al 120′ inoltrato stronca una ripartenza velenosa guidata dall’instancabile Immobile (che ieri sembrava davvero inesauribile) con un recupero di 50 metri, prima in scivolata perfetta sul numero 9 avversario, poi evitando il fallo laterale praticamente da terra.
Se solo quel rigore fosse entrato, oggi sui social chi sa quale sarebbe stato l’hashtag in cima ma il destino talvolta è beffardo. Ma altrettanto vero è che ognuno è artefice del proprio destino e quello calciato ieri dal Ninja non è sicuramente il miglior penalty della storia del calcio e magari, quasi certamente, il 14 nerazzurro avrebbe potuto (e dovuto) metterci un po’ più d’intelligenza e malizia. Eppure forse da dire ci sarebbe qualcosa in più e lo zelo ampiamente utilizzato nell’analizzare tutti i cavilli comportamentali del belga potrebbe altrettanto essere impiegato nel dire che quel rigore sarebbe entrato se tra i pali non ci fosse stato un ottimo Strakosha ad intuire le intenzioni dell’avversario e non lasciarsi spiazzare restando fermo ed è l’albanese stesso ad ammettere l’intuito ‘Mi sentivo che avrebbe tirato centrale‘.
Ma il fine non sempre giustifica i mezzi e l’errore è stato fatale perché il rigore successivo è calciato bene, affonda la rete ed è la Lazio che si giocherà la Semifinale con il Milan, con tutte le conseguenze del caso che pendono come ghigliottine sul capo di quello stesso Nainggolan che a giugno sembrava quel sogno diventato finalmente realtà.
Quattro, il suo numero prediletto, lo stesso finito su quasi tutte le pagelle e se ad accanirsi col belga c’è una gran fetta di tifo, gli addetti ai lavori non sono certo da meno. Eppure magari da considerare ci sarebbero anche altre contingenze, come ad esempio il fatto che la Lazio è una squadra che Radja, da cuore giallorosso (e chi può davvero fargliene una colpa per questo?) ha sempre subito. Un limite che a riguardare le statistiche si è da sempre palesato in carriera, anche e soprattutto in quel di Roma. Una giustificazione? Non di certo, ma magari quel rigore Radja non avrebbe dovuto batterlo anche e soprattutto per la stessa fiducia che non era stata data fino al 106′, quando magari la differenza avrebbe potuto farla.
Se è vero che la storia è ciclica e ridondante e quella dell’Inter sembra proprio render giustizia al vecchio e antipatico Georg Wilhelm Friedrich, caro Radja è arrivato il tuo momento, quello del riscatto. Perché se c’è chi invoca la gogna e la crocifissione del cattivo, c’è chi ancora in quel cattivo ci vuole credere e il capo chino come fatto ieri c’è chi vuole che lo riproponga nello stesso inchino dopo il gol al 66′ di quella gara al Dall’Ara.
Egle Patanè