Francesco Totti parla del suo futuro e apre uno spiraglio alla possibilità di poter continuare la sua carriera calcistica come allenatore, in un’intervista rilasciata a Walter Veltroni per il Corriere dello Sport. “Allenare? Da una parte mi piacerebbe, però in questo momento non ci penso perché, conoscendo il mio carattere, forse non saprei gestire un gruppo. In effetti, vedo tutti i miei ex compagni che appena smesso di giocare hanno preso questa carriera d’allenatore. Mi sa che scatta qualche cosa dopo, perché tutti si mettono a fare gli allenatori e allora può darsi pure che scatterà qualche cosa anche a me. Che ti devo dire: cambierò carattere, cambierò modo di impostare tante cose. Non so quello che mi riserverà il futuro. Però so che sarà una cosa piacevole, sarà un’altra vita, un’altra carriera bella. Sinceramente non so cosa farò. Però spero di rimanere per sempre nella Roma. Questo è il mio desiderio, e mi auguro e voglio aiutare la società nella quale ho speso la gran parte della mia vita. Sarei davvero felice se potessi essere di aiuto alla Roma“.
Queste le parole del Capitano giallorosso, legatissimo alla Roma e al calcio. Chissà cosa ne pensano i tifosi, verrebbe da credere che non potrebbero che essere contenti di non perdere del tutto Totti quando smetterà di indossare la sua maglia numero 10. Ma una voce su tutte si leva dal coro, è quella di Giancarlo Dotto, giornalista sportivo e accanito tifoso della Roma. Con i suoi articoli su Dagospia contro il pupone si è guadagnato la fama di simbolo dell’anti-Tottismo. Secondo lui l’adorazione per Totti leverebbe forza al resto della squadra.
Interpellato sulle dichiarazioni del Capitano a Veltroni, Dotto risponde così: “Un’intervista in coma diabetico già nell’introduzione, sembra che Veltroni abbia una smania incontinente, elogia qualcosa e qualcuno già talmente idolatrato da non averne alcun bisogno. Una celebrazione che non celebra, perché definire Totti genio del calcio, arguto, divertente, saggio, bello, buono, non lo aiuta. Parlare del talento di Totti come magica follia o poetica sfrontatezza a cosa serve? Sono espressioni liceali che non aggiungono nulla”.
“L’unica perla involontaria è quando, parlando di sé da bambino, si definisce un “tappo”, è in qualche modo profetico. Ha creato un legame con le parole di Sabatini che lo ha definito nello stesso modo anche se aveva ben altro in testa. Il concetto di “Totti tappo della Roma” è inconfutabile. Trovo ottuso, grottesco, ridicolo che non lo si voglia riconoscere nella sua giusta dimensione. Sempre nell’intervista, in cui sembra un santino, Totti dice: “io non ho mandato via nessun allenatore”. Sarà anche vero, ma i tecnici si mandano via in tanti modi. Il primo è quello di destabilizzarli, il secondo non prendendo mai posizione pubblica nel momento in cui sono in difficoltà. L’ho detto anche a Garcia, che è un’anima leale e semplice, quando Totti fece quel gesto al momento di una sostituzione, togliendo dalla spalla la mano che Rudi gli aveva appoggiato come se fosse la cacca di un piccione, ha ucciso l’immagine del francese a Roma. Questo Rudi non lo ha mai capito fino in fondo. Letale. Così come il “piccolo uomo” di Ilary ha causato un danno infinito, creando un’associazione ingiusta perché Spalletti tutto è tranne che un piccolo uomo. Si uccidono pianisti e allenatore in modi diversi. Ad esempio lo scorso anno Totti se ne uscì con quell’intervista alla Rai mentre la squadra viaggiava a gonfie vele. Non ha mai esercitato la sua leadership fuori dal campo, soprattutto quando poteva intervenire per mettere un argine a questa idolatria dirompente. Quando le dici o le scrivi c’è sempre qualche imbecille che ti ricorda che Francesco è fortissimo. Nessuno ne mette in dubbio il talento, ma se lui fa un tacco da “parrocchia” cadono giù le tribune”.
E ancora su Totti, Dotto continua a descriverlo secondo la sua visuale: “È un tappo che veramente oscura toglie più di quanto dà. In campo restringe le linee di calcio, tu vedi che sono tutti ossessivamente votati a passargli la palla. Io aggiungo che all’interno del clan romanista, anche fra i più intelligenti, si è creata una sorta di sindrome di Stoccolma. Giocatori leader come Strootman si trovano costretti a dire che con il capitano in campo si sentono più sicuri. Pensano: “Io sono in una città sequestrata dal mito di Totti, non posso ribellarmi e quindi mi adeguo”. L’unico che, poverino, ha provato a uscire dal coro è stato Nainggolan. Sarà un caso, sto scherzando, ma da quando lo ha detto ha smesso di giocare al calcio. Quindi Totti non ha mai mandato via allenatori, è vero, ma quello che c’è attorno a lui, questa monocrazia, lui non ha fatto nulla per riconciliarla in nome della Roma“.
E alla domanda sull’eventualità che Totti possa fare l’allenatore: “Tutto può succedere, lo dice anche lui onestamente di dover cambiare. In genere essere un fuoriclasse non significa diventare un grande tecnico, abbiamo casi contrari. Guardiola è il genio assoluto, dall’altra parte c’è un esempio come Falcao. Se Totti pensa che il suo nome carismatico possa di per sé farne un grande allenatore sbaglia. Anzi estende in modo allarmante questa minaccia del “tappismo”. Rischia di uccidere la creatura Roma, se fosse veramente romanista capirebbe che sul suo nome si consuma idolatria pericolosa che va contro agli interessi del club e cercherebbe un ruolo dietro le quinte, un po’ come quello di Zanetti nell’Inter. Se invece dovesse sedersi sulla panchina giallorossa avremmo per altri vent’anni una città che sposa il suo nome invece della squadra e io smetterei di occuparmene”.
Mirella Fanunza