Si apre con questa foto una nuova fase all’Inter, così sembrerebbe e certamente potrebbe esserlo, ma siamo sicuri sia del tutto nuova?
Certamente l’arrivo di Beppe Marotta all’Inter rappresenta ai più uno spartiacque, sancita dall’immagine di innovazione che già Steven soltanto trasmette. Sulla recente nomina di Steven Zhang come presidente dell’F.C. Internazionale andrebbe affrontato un capitolo a parte ma non è questo il momento. Oggi l’argomento di cui non poss(iam)o esimerci dal discutere è quello sopracitato: spartiacque appunto sotto tanti punti di vista; eppure facendo una panoramica generale, al netto di delusioni e risultati – o delusioni per i risultati – sorge spontaneo chiedersi se non sia piuttosto semplicemente il ritratto di un progressivo cambiamento e crescita in ottica aziendalista dell’F.C. Internazionale, ma al contempo di un conseguente e oggettivo snaturamento dell’Inter.
Diciamoci la verità: siamo ormai tanto abituati al calcio dell’innovazione, all’europerizzazione, dei diritti tv, degli anticipi il venerdì sera, delle tessere del tifoso, delle squalifiche, della curva subito sold-out per chi poi in realtà ‘sale’ per Juve, Roma o il derby che la fanzina neanche la si compra più e chi se ne frega di quelli che inondavano Vittorio Emanuele quando stava per concludersi lo scambio Guarin-Vucinic.
‘Chissene’ di quelli degli striscioni, dei mesi per le coreo, delle trasferte in terra promessa come in Israele alla quinta dei gironi di EL contro il Beer Sheva (cioè, il Beer Sheva persa 3-2); chissene di quelli lì: quei poveri fanatici che si incavolano talmente tanto che il giorno dopo a lavoro ci vanno con gli occhi a palla, perché per dirla alla ‘Nord maniera’ – ‘anche se domani andiamo a lavorare siamo sempre qui al tuo fianco per cantare’ – ci sono sempre.
Chissene frega di loro, dei loro cori, delle loro idee.
Così… dal nulla, dal silenzio, da nessuna vera negazione della trattativa, arrivano i segnali più o meno diretti, ma pur sempre tali, fino ad oggi: la stretta di mano, la presentazione, il tweet.
#Marotta: "Da oggi farò parte della grande Inter, per me è motivo di grande orgoglio" #FCIM pic.twitter.com/6zexEy62aC
— Inter (@Inter) December 13, 2018
Ok, fermiamoci un attimo.
Dietro Marotta juventino, quello fino a qualche giorno fa persino pesantemente deriso, c’è certamente ben altro, un cv che, magari, prima di tutto andrebbe letto, una mossa strategica che sì, mano a numeri, bilanci, crescite e parole potrebbe essere letta con un raziocinio diverso. Eppure restano appunto numeri, bilanci, crescite e parole: tutte cose che nella giornata di ieri, e pure di oggi, contano meno di niente. Almeno per quelli di cui sopra, per l’appunto.
Proprio per loro, per quelli che da San Siro, o dal divano martedì sera erano afflitti, ieri e anche oggi, non importa minimamente neppure il fatto che l’Inter sia l’unica italiana a non aver perso in questo turno di Champions. E sempre agli stessi proprio oggi quella stretta di mano punge poco come una pugnalata al torace, malgrado la consapevolezza che non sia così clamorosamente aberrante dal punto dei vista profitti. Però, sorgono dei però.
Fermo restando che nessuno vuole sacrificare né immolare nessuno, nella giornata di martedì i fattori intervenuti sono molteplici, da una rosa inevitabilmente corta – per le restrizioni imposte dal FFP – e provata dagli infortuni, a dei vuoti di idee e concentrazioni in campo e fuori, finiti tutti in quel pettine che ha rivelato i nodi chiamato PSV.
Fanno capolino certe negligenze estese a più livelli
Nel mercato? Come si fa a dirlo dopo un mercato definito ‘il migliore dopo CR7’? Infatti non diciamo questo. Nessuno toglie meriti a nessuno. Semplicemente un mercato, dei giocatori e un impiego discutibile. Scelte di campo o di mercato, il goal incassato contro gli olandesi resta un dato inequivocabile di lacune: come la debolezza a sinistra che non porta di certo il nome di Ivan Perisic, o come la necessità di quel rinforzo lì al centro lì dove viene a mancare quel Ninja tanto cercato e mai nella condizione di risolvere quel ‘problema’ per il quale è stato acquistato e lì dove già se si ‘osservavano’ Luca Modric e Arturo Vidal ci sarà stato un motivo. Comunque non è certo questo il punto, almeno non soltanto perché a questo di aggiungono un’uscita dalla Champions che ri-analizzeremo e che comunque per quanto beffarda e malcapitata avrà avuto pretesto d’esserci.
Alla luce di una somma che, visto il periodo, può pure starci a mo’ d’inventario, si può parlare di un miglioramento così sostanziale? Questo ce lo dirà, come già detto, la squadra a partire da sabato, intanto resta l’interrogativo e incombe gennaio: gli inventari vanno fatti, specie perché sarà un mercato ristretto nei tempi e che dovrà per forza dare un mano lì dove finora non si è poi così tanto sfruttata quella avuta dal quello di agosto.
Nella speranza di un Cancelo 2.0 con un epilogo diverso, il nuovo arrivato non sul campo ma in ufficio potrà e dovrà aiutare a rispolverare la panca, o meglio, la società dovrà aiutare lui. Del suo arrivo all’Inter l’ex ad della Juventus, ‘nient’altro che la sua macchia più grande’, nonché assoluta per molti, non può certo dirsi il vero colpevole: se gli interisti devono recriminarne l’arruolamento a qualcuno, quel qualcuno è la società nerazzurra che non avrebbe neppure dovuto pensarlo. O quantomeno, agli interisti, quelli parecchio suscettibili che Javier Zanetti in primis, e Ausilio in secundis, conoscono bene sarebbe piaciuto essere ascoltati.
Ma appunto ne siamo abituati, e ai molti a cui oggi dovrebbe aberrare scivola addosso, simbolo di un aziendalismo che può valere sì l’aumento dei ricavi ma che potrebbe significare – ripeto – al contempo qualcos’altro.
E allora che si fa? Bisogna augurare nient’altro che buon lavoro, sedersi e stare ad aspettare, nella speranza che con la scelta di un Marotta reo ‘soltanto’ di aver scelto l’Inter come alternativa ad una Juventus che in ‘perfetto stile’ seduce e abbandona persino (o soprattutto) le bandiere, lui compreso, non si finisca ad accodarsi a chi per profitti ha preferito arrivare due volte secondi per manie di ‘protagonismo’.
Egle Patanè