L’ultima partita di Davide

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Fonte immagine profilo Twitter Fiorentina

“Il cuore se potesse pensare si fermerebbe”. Mi piace ricordare così il cuore di Davide Astori. Lottatore e sognatore, discreto e forte, dolce e coraggioso, si è fermato di notte, quella notte fatta per amare e per pensare

 

Ho sempre immaginato la vita come una partita di calcio fra un ciak e l’altro. Novanta intensi minuti dove fra una pausa e l’altra proviamo ad attaccare e a difenderci, a volte segniamo qualche gol, altre invece aspettiamo quel calcio di rigore che possa risollevarci. Sono novanta minuti in cui siamo in sfida contro noi stessi prima che con gli altri. Sfidiamo le nostre paure e le nostre incertezze, i nostri timori e a volte, sentendoci guerrieri, anche il nostro destino. Spesso sbagliamo, commettiamo errori e arriva quel cartellino rosso che prova a toglierci le speranze, ma sappiamo ricominciare anche più forti di prima. Altre volte invece arriva solo un cartellino giallo, un alert per avvisarci che quanto stiamo facendo potrebbe essere dannoso, per noi, per gli altri. Novanta minuti di passioni, dove a farla da padrona sono i battiti del nostro cuore in perenne lotta contro la parte più razionale di noi stessi. Quel cuore che è per noi linfa vitale, e chi se ne frega se viene disilluso, ferito, ingannato, in quei novanta minuti lui continua a battere ancora. Quel cuore spesso colpevole dei nostri errori e dei nostri sbagli, delle nostre passioni maledette.

Ma il cuore se potesse pensare si fermerebbe, e un cuore non può fermarsi, è lui che ci conduce verso quel fischio finale che mentre giochiamo la nostra partita sembra così lontano, impercettibile, assente.  Per qualcuno – i più fortunati – ci sono anche i tempi di recupero, ed ecco quei 3/4/5 addirittura 6 minuti in cui abbiamo tutto il tempo per un ultimo gol, un ultimo saluto, un ultimo applauso. Qualcuno riesce a dare un ultimo abbraccio, qualcun altro a dispiegare il non detto, qualcun altro ancora a sorridere per l’ultima volta.

Ma le cose non vanno mai come credi, cantava Giorgia nel suo addio ad Alex Baroni, e molte volte quella partita viene interrotta – inesorabilmente, inspiegabilmente, bruscamente – al 45°. Quando pensi di avere tutto un secondo tempo da giocare,  si interrompono i fili di un ingranaggio chiamato VITA.

Il cuore di Davide ha deciso di fermarsi a pensare prima che l’arbitro fischiasse l’inizio del secondo tempo. E l’ha fatto di notte, quando le luci degli spalti si abbassano e diventano fioche, i rumori diventano sempre più impercettibili e il regista ha dato quel ciak per l’ultima volta.

L’ultima partita di Davide è stata giocata nel sonno dei giusti, lontano dalle platee e dai clamori, lui e il suo cuore, forte passionale, genuino, che ha deciso che doveva fermarsi, senza dargli la possibilità di un ultimo gol, di un ultimo saluto, di un ultimo abbraccio. Forse non tutto quello che voleva dire l’aveva già detto. Forse non tutti i sorrisi che voleva dare li aveva già dati.

L’ultima partita di Davide e di tutti quelli a cui è stata sospesa al 45′ senza possibilità di giocare ancora potrebbe essere la partita di tutti noi.

Viviamo la nostra partita di calcio come se fosse l’ultima. Non rimandiamo al 90′ un saluto, un abbraccio, un sorriso. Non pensiamo che abbiamo 90′ di tempo per chiedere scusa, per amare, per vivere. Non passiamo quei 45′ minuti facendo falli, simulando, commettendo errori, perché non sappiamo se quel secondo tempo arriverà anche per noi o se il regista vuole porre la parola fine alla sua pellicola.

A volte pensiamo di avere ben 90′ minuti di partita da giocare, altre che il nostro film meriti qualche scena in più. Invece non ne siamo noi i registi. Né abbiamo un fischietto fra le nostre mani a deciderne le sorti.

Quel triplice fischio può arrivare quando meno ce lo aspettiamo.

L’ultima partita di Davide è durata 45′ intensi minuti, dove a farla da padrona sono stati l’eleganza, la sobrietà, la correttezza, la riservatezza e la solarità.

Mi auguro che il calcio italiano e i tifosi tutti ricomincino dal  46′. Dove non ci saranno più insulti, né cori razziali. Dove verranno ponderate le parole e i comportamenti. Dove non si useranno più termini come “tragedie” perché una tragedia è quella che stiamo scrivendo.

L’ultima partita di Davide non deve essere stata vana.

Giusy Genovese

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