Home Calcio Italiano L’ultima bandiera del calcio che fu…

L’ultima bandiera del calcio che fu…

Con De Rossi si ammaina un'altra bandiera e con lui il calcio italiano perde anche l'ultimo elemento di quella compagine azzurra che fece sognare l'Italia nel 2006

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Dopo appena due anni dall’addio di Totti al calcio giocato, con un tributo meritato non solo dai “suoi” tifosi, ma anche da tutto il calcio italiano che lui, anche con il suo modo di fare, spontaneo, disincantato e autoironico, ha conquistato e deliziato, arriva un altro addio “eccellente” in casa Roma e non solo.

Il celebre Capitan Futuro, l’uomo con la barba, l’uomo riservato, silente – forse troppo – ma eternamente in prima fila al centro (del campo e non solo) di quella squadra nella quale lui e il Pupone hanno messo radici e fatto crescere solidi alberi, ha lasciato.

Lo ha fatto a fine campionato, dopo due anni da capitano (con la fascia consegnata proprio da Totti) e diciotto anni di maglia sudata.

de rossi totti

Onori meritati anche per lui, non senza qualche polemica e non senza l’esortazione dei tifosi romantici a restare, perché l’addio di De Rossi è alla Roma e non al calcio.

Continuerà a giocare in un’altra squadra, forse all’estero, e questo ha scatenato le polemiche della tifoseria giallorossa per aver “permesso” che accadesse questo all’ultima, reale bandiera di un calcio che esula sempre più dall’amore e dal sentimento.

Lui, sempre un passo indietro rispetto al Capitano di tante battaglie, amico, spalla, scudiero. Sempre presente, lottatore mai domo, chiamato, forse troppo in tarda età a guidare una realtà calcistica e cittadina che di “core” ce ne mette sempre tanto.

Con De Rossi, il calcio italiano perde anche l’ultimo elemento di quella compagine azzurra che fece tornare in Italia la coppa del mondo nel 2006 e ridare al calcio italiano una gioia che mancava dal lontano e celebre mondiale 1982. 

L’Italia del pallone, che usciva con le ossa rotte da Calciopoli e che, affidati i suoi sogni di gloria a quel gruppo di musicisti del pallone sotto la guida del direttore d’orchestra Marcello Lippi, vide la magia della Coppa del mondo anche grazie a De Rossi.
Di quella squadra restano le facce e le gesta, nei ricordi indelebili dei tifosi. Non resta, però, più nessuno in calzoncini e scarpe con i tacchetti a calcare i campi da calcio.

Passa il tempo, i pischelli si fanno uomini, il calcio è sempre meno romantico e sempre più anaffettivo, salvo poche, sporadiche, eccezioni.

E se a Roma “du pezzi de core de’ sta città”, in due anni hanno salutato il Dio italico del pallone, tutto il calcio, piacciano o meno certi giocatori, non può non ammettere che le bandiere nel settore sono ormai belle che ammainate.

Sì, si chiamerà anche professionalità, ti porterà anche magari a scegliere di mettere da parte un fil di sentimento in nome del lavoro, della carriera, del “Dio danaro”, del successo, dei trionfi. Ma sarebbe bello che nessuno dimenticasse come e quando ha iniziato a vivere quel sogno: un pallone, gli abiti perennemente lerci, le scarpe consumate dai tiri, la felicità…

 

Simona Cannaò

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