In questo turno europeo la sorte è stata parecchio amare per le italiane: chi per una ragione, chi per un’altra da questo finale della fare a gironi nessuna delle compagini nostrane può dirsi soddisfatta. Tutte sconfitte ad eccezione dell’Inter, ad avere la peggio sono il Napoli e le due milanesi.
Se la Juventus ha perso in casa del Young Boys ma è stata comunque graziata dai Red Devils perdenti contro il Valencia qualificandosi comunque prima e la Roma, come i cugini Laziali in Europa League ha incassato una sconfitta indolore ai fini dei piazzamenti nel turno successivo, a differenza di questi ultimi, la sconfitta per i giallorossi è valsa un ulteriore scossa agli equilibri dello spogliatoio e della piazza.
Meno piacevolmente è andata invece la sconfitta alle altre italiane, nella fattispecie Napoli, Inter e Milan, eliminate dalla Champions le prime due e dall’Europa League la terza.
Le milanesi insieme scontentano, oltre che un’intera città, una buona fetta di popolo italiano e internazionale. Entrambe, tra i Club più titolati e blasonati al Mondo, erano le grandi assenti sui campi d’Europa e sono tuttora assenti sui palchi che contano, vista l’eliminazione dell’Inter dalla Champions. Con la ‘retrocessione’ nerazzurra in Europa League però la rivalità da derby in Europa avrebbe condito ‘l’insulsa’ competizione – almeno per le due milanesi abituate a ben altro – di quel brio che avrebbe reso la finale di Baku un pasto un po’ più speziato.
Ma così non è stato, e per vari motivi contingenti e non, il Milan segue il destino dei più antichi dei rivali. E che rabbia a veder sfuggire come saponetta una qualificazione che fino al break sembrava più che abbordabile! Gattuso si malmena sulla panca e non finge comprensione tantomeno cerca alibi; Ringhio si presenta ai microfoni con raziocinio e pacatezza che di quel Ringhio sul campo non sembra ricordare nulla se non l’intelligenza da cane da caccia che in panchina, come in campo, conserva dentro.
Lucido ma arrabbiato, e non lo nega, razionale ma deciso e duro insieme commenta e analizza con intelligenza e lo stesso veleno del campo che è quello che gli altri chiamano cuore – per citarlo – e infatti il cuore che ci mette Gattuso è sempre un po’ diverso da tutti gli altri compreso Leonardo che poco prima aveva parlato di episodi da moviola prima che di quelli da condannare alla squadra.
Ma Gattuso no, Gattuso se la prende con tutti, in primis con se stesso in occasione del cambio Laxtalt-Cutrone di cui si assume le colpe per aver tolto qualcosa nello sbagliato tentativo di equilibrarla.
Ma quel cambio lì, a discolpa di un ferito ma orgoglioso Rino, arriva dopo un primo tempo in cui il Milan spreca parecchio e non raccoglie un vantaggio che non ha capitalizzato più per demerito proprio che per merito altrui.
Succede tutto nel secondo tempo quando i padroni di casa scendono in campo con una verve diversa e un antagonismo che già nella fase finale del primo tempo erano cresciuti. In dodici minuti poi succede il possibile, l’impossibile e il possibile di nuovo: al vantaggio per i padroni di casa arrivato su un black-out di Castillejo su un corner di Fortounis che bleffa il rossonero, scambia con un compagno e innesca un’azione che vale l’1-0 arrivato dopo un rimbalzo carambolesco finito sui piedi di Cisse che di forza spedisce oltre Reina e insacca.
Dieci minuti dopo la rete greca e qualche intervento di troppo da parte dell’ex portiere del Napoli, arriva la pioggia che il già incupito cielo de Il Pireo aveva presagito. Su una assurda e incredibile svirgolata innocente di Zapata il pallone tradisce incredibilmente Reina e se solo fosse stata intenzionale e nell’altra porta, quella giusta, sarebbe pure stata una gran rete. Ma è in quel momento il doppio vantaggio greco sembra il definitivo ko rossonero di un Milan che incredibilmente però risorge. Lui la disfa e lui la ri-apparecchia e dopo un paio di minuti è ancora il colombiano a variare il risultato e scombinare gli scenari: su un cross di Calhanoglu la imbuca oltre Sa e riapre il discorso.
La partita si surriscalda ed entrambe le compagini si svegliano, soccombere significa permettere all’altra di prendere il proprio posto e quello che si infuoca di più è Gattuso, quello che il Milan lo conosce bene non solo in campo ma anche nella storia.
E lui che in territorio epico ci ha vinto una delle Coppe più belle e importanti della sua vita, l’ultima del palmares della lista rossonera, sa che i troiani han perso per un bluff e prova a rasserenare gli animi per non compromettere nulla. Ma il sopracitato cambio Laxtalt per Cutrone più che conferirlo l’equilibrio, lo toglie. L’Olympiakos alza la testa e torna a farsi vedere nelle zone estremamente avanzate e dopo un corner un contatto su un abbraccio di Abate su Torosidis ritenuto troppo invalidante allo svolgimento dell’azione da gol, l’arbitro Bastien fischia indicando il dischetto.
La decisione è ritenuta estrema e solleva polemiche che si protraggono oltre il triplice fischio e che infuocano un finale animato soprattutto dai milanesi che provano a recuperare ancora fino all’ultimo attimo dei sei minuti di recupero non riuscendo nell’impresa e a farsi tradire, come nella guerra di Troia proprio da un bluff.
Ma quanto ci ha messo l’arbitro! La partita di ieri sera ai rossoneri è stata incontrovertibilmente condizionata dagli episodi arbitrali prima di tutto che hanno condizionato il verdetto di quei dadi che sembravano poter sorridere di più ad un Milan che altrettanto onestamente non ha saputo cogliere ciò che aveva seminato. Gattuso non a caso parla di un raccolto che riguarda una semina che spesso e volentieri è stato mal dosato più che gettato su un terreno ostile. Come contro il Dudelange e come contro il Betis ieri sera nell’ultima chiamata per non buttare quanto di buono era rimasto della turbolenta e inquieta annata scorsa, il Milan cade lì dove, ai tempi in cui quell’uomo ieri irrequieto a bordo campo, urlava irrequieto al centro del campo, si era ricoperta di uno dei più ambiti allori.
“Giusto andare fuori, dobbiamo prenderci le nostre responsabilità, non dovevamo arrivare a questo”
Con queste parole si racchiude un po’ tutto il risentimento dell’allenatore rossonero e dell’amarezza che da buon rossonero, tifoso prima di tutto non riesce e non può spiegarsi nel bene di quella maglia che il Rino con gli scarpini onorava mettendoci sudore, gambe, e cuore prima di diventare il Gennaro in giacca e cravatta che ci mette faccia, testa, gola e cuore e anche in questo caso lo stesso identico cuore.