Giornalista, opinionista, direttore di Radio Nerazzurra ed esperto di comunicazione, ma anche grande cuore nerazzurro, da sempre.
Il suo volto e la sua voce sono inconfondibili, Lapo De Carlo è uno dei più noti giornalisti sportivi in Italia: vero amante dell’Inter ma soprattutto vero amante del calcio.
Con lui abbiamo analizzato la stagione della Beneamata, ma abbiamo anche parlato di futuro e scavato tra i suoi tanti ricordi da tifoso.
L’Inter torna a vincere un trofeo dopo 11 anni. Diversi fattori possono aver contribuito al raggiungimento del titolo: dagli investimenti economici considerevoli, alla presenza di un progetto tecnico convincente, fino alla straordinarietà della stagione causa Covid. Ma tutto questo, in percentuale, quanto può aver inciso?
Il Covid zero percento. L’Inter è quella che aveva il maggior numero di pubblico. Se c’è qualcuno che ha perso qualcosa è proprio l’Inter: è stata inevitabilmente penalizzata. Un altro aspetto è che negli ultimi 10 anni l’Inter non ha perso occasioni su occasioni perché aveva una dirigenza incapace, ma perchè una proprietà di un grande club ha cambiato tre volte il presidente nell’arco di poco tempo.
In quattro anni, questa società ha oggettivamente fatto ciò che non era stato fatto prima, ha fatto degli investimenti, ha preso il dirigente giusto.
Secondo me la vera colpa è stata anche della Juventus, ha fatto un errore clamoroso a sbarazzarsi di Marotta e a fare dei cambi di società incongrui.
L’Inter invece ha fatto scelte oculate, ha realizzato un progetto che è cresciuto in tre/quattro anni, Spalletti prima l’ha portata due volte in Champions League e Conte poi ha fatto fare il salto di qualità. Quindi era prevedibile potesse finire il dominio della Juventus, io pensavo sarebbe accaduto l’anno prossimo. Il fatto che sia accaduto adesso lo riconduco al fatto che la società abbia fatto delle scelte che sono state le più intelligenti, ha fatto degli investimenti mirati, a differenza di anni in cui faceva investimenti random, ma perché cambiava società, cambiava allenatore, cambiavano troppe cose.
Finalmente la continuità ha portato il vantaggio. Se la Juventus ha vinto tanto in Italia è anche perchè è l’unico club in Italia, e forse uno dei pochissimi in Europa, che ha la stessa da proprietà da più di 100 anni.
Credi che questo scudetto possa essere l’input per un lungo ciclo di vittorie?
In un mondo normale direi che l’Inter ha iniziato un ciclo. Ma ora non sappiamo neanche che tipo di Inter sarà tra due mesi. Suning sta cercando di capire cosa fare, Conte sta cercando di capire se rimanere e contemporaneamente c’è da capire se Marotta e i giocatori rimangano in un progetto ridimensionato causa Covid.
Non si sa nulla ed è il motivo delle tensioni di questi giorni, anche i tifosi non riescono a godersi lo scudetto. Se questo mese viene superato e rimane tutto così com’è, c’è la possibilità che rivinca lo scudetto, ma sono troppi i punti di domanda. Dipende se la Juventus andrà in Champions o in Europa League, stessa cosa il Milan. Che tipi di investimenti faranno anche loro. Dipende da tante cose, che nel mondo di oggi è impossibile delineare.
Antonio Conte, messe da parte le incomprensioni dello scorso anno, si è trasformato. È stato in grado di far capire la sua idea di gioco ai giocatori, ha trasformato le difficoltà della stagione in energia positiva, ha fatto da parafulmine durante le diverse tempeste attraversate in questi mesi. Quanto ha contribuito questo cambio comunicativo?
Tanto. Conte è un uomo controverso, io l’ho criticato molto nella sua comunicazione. Oggi un allenatore deve essere in grado di poter fare sia il comunicatore, sia l’allenatore, sia un’altra serie di micro aspetti. Quando alleni un grande club devi avere qualcosa in più che solo un bravo allenatore non ti può dare.
Conte ha proprio svoltato da un sistema comunicativo all’altro e questo si è rivelato inevitabilmente positivo per tutta la squadra. Ha dato tranquillità, pace, ha creato un rapporto con i giocatori, però può ancora migliorare.
È normale che da un allenatore che viene pagato 12 milioni e ha quest’esperienza ci si aspetta che possa crescere ulteriormente. Ancora adesso ha alcuni atteggiamenti poco gestibili, però, è la stessa persona che quando esce dalla Pinetina si ferma con i tifosi ed è sempre pronto a far selfie con loro. Un aspetto che non era così scontato.
È una persona che va sempre giudicata al lordo e mai al netto. È un uomo che va giudicato in base a dei lati, che a volte possono essere sgradevoli, e ad altri che invece sono straordinariamente apprezzabili e encomiabili. Non si può parlare solo bene o solo male di Conte, perché se no vuol dire che si hanno dei preconcetti.
Il caso Eriksen ha tenuto banco per mesi e mesi. Si poteva gestire meglio?
Tecnicamente è l’unico vero grande errore di Conte. Su alcuni aspetti aveva ragione lui, su altri aveva torto.
Se si prende un giocatore come Eriksen, non si può non sapere che lui non faceva esattamente il trequartista ma faceva anche l’interno. Certo, la squadra era diversa, il campionato era diverso, ma se si prende uno come Eriksen non gli si dà una possibilità, si investe su di lui, lo si fa giocare e lo si fa giocare nel suo ruolo. Se l’Inter avesse giocato con Eriksen dal primo giorno, oggi forse sarebbe ancora in Champions League.
Per il resto non ha sbagliato, ma su Eriksen ha sbagliato molto. E non è vero che lui ha recuperato Eriksen. È stata una capacità da parte del giocatore di non fare scenate. Si è messo semplicemente a disposizione, ha imparato, ha capito cosa voleva Conte da lui, e Conte ha capito che aveva davanti un fenomeno.
Se dovessi nominare tre protagonisti e tre flop assoluti della stagione, chi sarebbero?
I tre protagonisti: Barella, Eriksen e Lukaku.
Per i flop, senza dubbio Vidal e Kolarov, su tutti.
Potrei dire Pinamonti, ma sarebbe una cattiveria. Ha giocato veramente poco, non ha avuto possibilità. Ma quando è entrato ha dimostrato che poteva dare una gran mano.
Diciamo due flop con colpa (Vidal e Kolarov) e un flop involontario (Pinamonti).
Soffermandoci sulla situazione societaria, come sarà il futuro per l’Inter? Se dovessi dare un consiglio alla società quale sarebbe?
C’è poco da suggerire in questo momento a Marotta, ha fatto un lavoro egregio. Testa bassa, concentrazione sulla squadra e una comunicazione contenuta, equilibrata.
Non devo consigliare nulla,
se non il fatto di parlare in modo più netto.
Ad esempio per Conte, se non vai in conferenza stampa non è meglio perchè non ti fanno domande sul futuro. Consiglio sempre di andare e di provare a trovare una condotta comunicativa che sia trasparente ma anche temperata. Penso che si possano dire le cose attenuandone l’impatto. Per il resto la società ha fatto un ottimo lavoro.
La proprietà Suning, invece, non può stare lontana sei mesi e poi tornare e cercare di risolvere tutto.
È normale che ci siano dei problemi se stai via da Milano. Il management però ha lavorato benissimo. Tutti hanno fatto la loro parte. Suning l’ha fatto dal punto di vista economico fino a un anno fa.
È quasi tempo di calciomercato. Considerando anche i problemi societari, chi sono gli intoccabili e chi potrebbe o dovrebbe invece partire?
Se guardo oggi la squadra, vedo una formazione che è in grado di arrivare almeno ai quarti di Champions League. Se si toccano giocatori come Lautaro o Bastoni, ad esempio, sarebbe un problema: vanno rimpiazzati con giocatori altrettanto validi.
Gli intoccabili sono quelli dell’ossatura, tutta la difesa che da due anni è la migliore del campionato; Eriksen e Barella, Brozovic, Hakimi, Lukaku e Lautaro Martinez. Sono 9 giocatori su 11, tutti.
Non c’è un giocatore più imprescindibile di altri se non Lukaku. Lui ha lo standing da leader ed è percepito come il vero leader.
Handanovic, che è il capitano, è vissuto diversamente, il vero leader dell’Inter è Lukaku.
Mourinho sarà l’allenatore della Roma dalla prossima stagione, che effetto fa vederlo in giallorosso?
È controverso. Verso Mourinho ho un atteggiamento di stima. Finché va ad allenare in Inghilterra o in Spagna, sì ti dispiace ma lascia il tempo che trova. Ma se viene ad allenare in Italia…
Se fosse stato alla Juventus o al Milan sarebbe stato un dramma, con la Roma non c’è questa rivalità emotiva.
C’è una dicotomia tra il sentimento che si prova verso un allenatore che tu comunque percepirai sempre come tuo e invece lui va in un altro club in Italia, a distanza di 11 anni, e sai che non solo diventerà l’allenatore della Roma ma anche totalmente romano e romanista.
Io l’ho sempre stimato, ma oggi non puoi innamorarti di soggetti come Conte o come lo stesso Mourinho perché sai che dopo due anni potrebbero andar via e sai perfettamente che una volta che vanno via diventano tutt’altra cosa. Sono anche loro prodotti di marketing, sono professionisti.
È un problema del calcio molto più ampio. Il calcio ha abbandonato quel tipo di dimensione emotiva e umana, oggi è molto più complicato.
Che differenze noti tra Mourinho e Conte? Dal punto di vista della comunicazione cosa cambia?
Uso sempre una battuta: “Conte è Mourinho ma senza senso dell’umorismo”.
Conte è passionale, parla la stessa lingua dei giocatori, è un allenatore che fino a quando avrà energia avrà molto da dare. Mourinho ha esaurito l’energia ed è diventato un allenatore diverso rispetto a 11 fa, è più completo, ma dal punto di vista della comunicazione trasmette contenuti che secondo me sono meno sferzanti.
Entrambi molto innamorati di se stessi, però Conte è più legato alla squadra, Mourinho al suo personaggio.
Conte si prende molto sul serio, Mourinho finge di prendersi molto sul serio perché quello che in realtà gli importa più di tutto è il suo personaggio. Quello che importa di più a Conte, invece, è vincere.
Uno ha creato il brand Mourinho, l’altro ha creato l’immagine di uomo vincente, riformatore. Mourinho, dal punto di vista comunicativo, è raffinato, parla bene qualunque lingua mastichi ma è anche annoiato, ha bisogno di stimoli per poter dare qualcosa di più. Lui ha saputo spesso usare la stampa a suo piacimento. Conte, essendo un passionale, vede tutto come se fosse una sua squadra, anche i giornalisti.
Da tifoso, il tuo ricordo più bello sull’Inter?
Inter-Napoli 2-1 del 1989. Quando ha segnato il gol Matthäus su calcio di punizione. Non ricordo, in tutta la mia vita, un urlo così enorme allo stadio come quello, e vado allo stadio da quando ho 9 anni.
Il giocatore che avresti voluto o vorresti vedere in nerazzurro?
Su tutti, Son. Eriksen mi piaceva già prima ma se mi avessero chiesto “Preferisci avere prima Eriksen o Son?”, avrei detto Son. Secondo me per l’Inter era perfetto.
La prima cosa che ti viene in mente o la prima cosa che provi se dico San Siro?
Mundialito club 1981, prima volta che andavo allo stadio senza mio padre. Sono andato con un amico più grande di me. La gioia di vedere tutti i tifosi insieme: ero felice. Sono stato 5 ore e mezza allo stadio a vedere Milan-Ajax e Inter-Peñarol ed ero davvero felice. Era il calcio come doveva essere, è stato il momento più bello, il più autentico.
Un altro momento bellissimo è stato prima di Inter-Napoli, nel 1986. All’epoca quando le squadre avversarie giocavano a San Siro venivano seguite da 10 mila tifosi. Non come oggi, 500 o 1000 tifosi al massimo, ma 10 mila quando c’erano le big. E c’era la curva sud tappezzata di striscioni. Poi, se c’era una partita alle 15 si entrava alle 11-11.30 era esaltante, divertente.
Alessandra Cangialosi