Franco Battiato, patrimonio assoluto della cultura italiana e non solo…
Scopriamolo nella insolita veste di calciatore e di appassionato di calcio
Quando un ARTISTA (maiuscolo obbligatorio) lascia il mondo terreno, non è cosa anomala andare alla ricerca di ricordi, aneddoti, “cimeli” mentali che ci aiutano a ricordare degnamente (e in molti casi, ad affrontare la perdita) colui o colei che in vita, ha apportato un contributo di inestimabile valore alla cultura di un intero paese.
È il caso, senza dubbio, di Franco Battiato, artista a 360° non solo della musica italiana.
Conoscitore di lingue, libero pensatore, musicista, compositore capace di spaziare dalla lirica al rock progressivo; autore ed interprete di uno dei dischi considerato tra i capolavori assoluti della musica italiana: L’imboscata, datato 1996.
E ancora il cinema, la regia, la filosofia, la sperimentazione letteraria e poetica… e il calcio.
Sembra quasi surreale immaginare un artista di tale portata, occuparsi del giuoco del pallone, popolare quanto basta, nell’indole dei tifosi, ed attualmente divenuto quasi esclusivamente un business dagli zeri difficilmente contabili.
Il Battiato che fu calciatore in gioventù, ruolo di “libero” nella squadra del Riposto (quello che un tempo fu Ionia, in provincia di Catania).
Il Battiato che dopo uno “scontro” con il palo della porta, riportò la frattura mai sistemata del naso, che da allora assunse la forma che lo ha poi caratterizzato per tutta la vita.
In un’intervista televisiva rilasciata a Gianni Minà, Battiato racconta alcuni momenti vissuti come giocatore: “Il calcio mi ha trasmesso sensazioni metafisiche: quando andavamo in trasferta nei vari paesi siciliani, avevo l’impressione che ogni Paese fosse avvolto da una specie di personalità, che dava un sapore diverso a ogni luogo”.
E poi aneddoti, racconti della partite giocate, degli episodi collaterali agli incontri, il non rivelare la preferenza per una squadra in particolare ma sostenendo di parteggiare per “chi fa bene”, senza alcuna inquadratura ben stabilita.
Anche in una intervista che rilasciò nel marzo del 1997 alla Gazzetta dello Sport, parlò del suo rapporto con il calcio e della sua esperienza come calciatore:
«Simpatizzo per le squadre che giocano bene:
formazioni senza fuoriclasse, ma che hanno un’anima.
Da ragazzo giocavo nel Riposto, espressione di un paese tra Catania e Taormina. Arrivammo in Promozione, ma la società rinunciò per motivi economici.
Tutti parlavano del centravanti della Massiminiana di Catania.
Dicevano: “Farà grandi cose”. Si chiamava Pietro Anastasi.
Ero mediano e mi ritrovai ad agire come libero. Un ruolo nuovo, per l’epoca.
Credo di essere stato uno dei primi liberi siciliani. In senso temporale, intendo…»
Estimatore di un calcio romantico, puro, lontano se vogliamo anni luce da quello che forse oggi è quasi corroso e sporcato dagli interessi, dalle rivalità portate all’estremo, dalla “tecnologia che non fa rima con magia” se non per l’assonanza.
Si potrebbe parlare allora di pensiero comune a molti.
In tanti oggi hanno una sorta di relazione complicata con il pallone.
I puristi del calcio sono quelli che evidentemente lo considerano ancora nell’accezione unica di passione per la maglia, per i colori, per la città che una squadra rappresenta.
Vogliamo immaginare il Maestro intento, anche in questi ultimi anni, a guardare le partite del “calcio di oggi”, con i suoi protagonisti sempre più personaggi, dettatori di mode, che fanno di loro stessi un’azienda, un marchio, che troppe volte smettono di inseguire un sogno per percorrere una strada esclusivamente tracciata dal Dio denaro.
« Mi sembra che il calcio di un tempo possa definirsi statuario se paragonato al football di oggi. La competizione sta guastando la purezza dello sport. Falli brutti, tensioni. Un tempo c’era più gentilezza: chi commetteva una scorrettezza si scusava immediatamente.
L’aspetto commerciale predomina. Ovunque, non solo nel calcio».
Quanto è lontano questo mondo da quello poetico, romantico, umano del calcio.
Quello delle partitelle nel fango da ragazzini o quello delle partite vere e proprie, da professionisti per intenderci, sul rettangolo verde con il pubblico sugli spalti armato di trombette e panini formato esercito con all’interno le combinazioni culinarie più estreme, anche per dare la giusta dose di sostanza atta a poter tifare meglio.
Questo è il calcio amato da Battiato, che oggi il mondo della cultura non solo nostrana piange e ricorda. E che anche il calcio ricorda con commozione, alla luce di quella memoria calcistica tenuta viva da lui stesso nel tempo.
Ci piace ribadire che il calcio, come ogni sport, è sacrificio, passione, ardore; è disinteresse verso tutto quello che è oltre il sacrificio, la passione e l’ardore. Un vero e proprio rapimento del corpo e dell’anima, qualcosa di più forte, di inspiegabile.
È, per dirla alla maniera del Maestro:
“Un rapimento mistico e sensuale, mi imprigiona a te..”
Simona Cannaò