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Il Liverpool è Campione d’Europa e Klopp è finalmente il numero uno

You'll never walk alone: il Liverpool rende onore ai suoi spettacolari tifosi e nessuno cammina da solo nella notte di Madrid. I Reds si laureano Campioni d'Europa e Klopp spezza il tabù di eterno secondo e diventa il numero uno

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Il Liverpool è Campione d’Europa e adesso anche Klopp non camminerà mai più da solo: il tedesco sale finalmente sul tetto d’Europa e diventa il numero uno

Con gli occhi lucidi, tra le note di You’ll never walk alone sorridono e piangono insieme i Reds, il Liverpool e Klopp. Soprattutto Klopp.

Tabù spezzato: Klopp finalmente numero uno

Con quel sorriso che contagia tutti, se la gode prima di ognuno Jurgen Klopp, l’allenatore perdente che a dir di molti fa tutto bene fino a 99 senza riuscire però a toccare 100. Non questa volta però. Il tedesco ex Borussia Dortmund, club con il quale aveva già sfiorato l’impresa ma appunto solo sfiorata, spezza quel tabù di eterno secondo che per anni si era visto cucito addosso.

Il Liverpool è Campione d'Europa e Klopp è finalmente il numero uno
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Questa volta a guardare gli altri alzare il trofeo non è lui e al contrario a prendere in mano il trofeo (il più bello) per i suoi ampi manici è proprio il tedesco di Stoccarda che a Liverpool è ormai eroe. Sarebbe potuto esserlo anche l’anno scorso, se le cose fossero girate diversamente. Salah infortunato, gli errori di Karius e quel sogno Champions, lì ad un passo, finito per infrangersi tra i colpi di Ronaldo e Sergio Ramos. Quest’anno la rivincita sembrava dettata dagli astri. Ma il Camp Nou sembrava dettare altro e quella notte dei gol della storia, il ritorno al gol di Suarez, la doppietta e il seicentesimo di Messi sembravano ancora una volta relegare i Reds in quell’angolo di incompiutezza che non avrebbe salvato nessuno, Klopp in primis. In quella notte di Barcellona persino Alisson è apparso vulnerabile davanti alla grandezza di quella punizione che più che un calcio piazzato suonava come un’esecuzione.

Quella notte al Camp Nou…

Al Camp Nou, però, risponde Anfield e ad Anfield si sa, il Liverpool non camminerà mai da solo. Con la carica di uno stadio straripante di energia, gli uomini di Klopp si lasciano sopraffare dalle emozioni e non lasciano spazio di espressione neppure all’immensità di Messi. Di doppietta in doppietta, e alla doppietta storica del Camp Nou sottoscritta Leo Messi, risponde prima Origi, poi Wijnaldum. Due reti a testa e al triplice fischio la finale è Reds.

Il Barca è fuori, Messi è fuori e il sogno del sesto pallone d’oro dell’argentino, il sogno diventa la sesta Champions League per gli inglesi. Ad interporsi tra il sogno e la realtà si incastona un Tottenham che spezza i sogni di un piccolo grandissimo Ajax ma raggiunge la sua prima finale di Champions League. Un’outsider con tanta fame che con il Liverpool condivideva lo stesso – o quasi – percorso fino a Madrid. Entrambe a rischio di non passare il girone, entrambe vittime di una sconfitta nella gara di semifinale d’andata, entrambe a sovvertire un risultato che poteva far sperare più di quanto la ragione concedesse.

Tottenham vs Liverpool: finale inglese vinta da un tedesco all’italiana

Ieri al Wanda Metropolitano però a far meglio, in una finale oggettivamente brutta, sono i Reds. Perché poi si sa, per il più sdoganato dei luoghi comuni, nel calcio a far meglio è chi segna di più. Nel caso di ieri chi segna e basta. Finisce 0-2 a Madrid e ad aprirla è Sissoko  con tanto di apertura di braccio in area. Penalty e Salah, seppur calciandolo male, insacca un gol che vale un risultato costante per quasi tutta la partita.

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Ottantacinque minuti per l’esattezza. Il tempo che il Liverpool ci ha messo a raddoppiare per chiudere un discorso rimasto in sospeso troppo a lungo. Quattordici anni per tornare a risollevare la Coppa dalle grandi orecchie. L’ultimo ad alzarla fu Steven Gerrard, sotto il cielo di Istanbul in quel 25 maggio 2005 che passò alla storia come la notte della rimonta e del portiere ballerino. E sempre Gerrard due anni dopo non era riuscito a replicare, lasciandola sollevare a Paolo Maldini sotto il cielo di Atene.

Dalle lacrime di Kiev alle lacrime di Madrid

Lo scorso anno Henderson con le lacrime che rigavano il volto, ritirava la medaglia d’argento mentre a sollevare la grande Coppa era Sergio Ramos, quello che aveva mandato fuori dai giochi un Salah da pallone d’oro e che pallone d’oro non potè essere. Piangeva come un bambino l’egiziano mentre usciva dal campo, con un dolore dentro tanto grande da anestetizzare quasi il trauma alla spalla. Non quest’anno però.

Salah colpisce il pallone dal dischetto con una foga quasi preoccupante, calciandolo persino in maniera tutt’altro che da manuale. Troppa rincorsa, troppa verve. E se finisce fuori? Non c’è tempo di pensare, nel frattempo la palla finisce comunque in rete e alla fine qualunque rigore, se segnato, è calciato bene.

Tutto il resto della partita scorre male, quantomeno a livello estetico. Né il Tottenham, né il Liverpool riescono a concretizzare quell’idea di gioco che ha entusiasmato i più fino a questo momento. Comprensibilmente il Tottenham s’impaurisce e trasmette quasi sempre una sensazione di timore che non lo fa sbocciare. Persino il Liverpool non riesce a mettere in pratica la cosa che più gli è riuscita meglio durante la stagione: il bel calcio.

Ben lungi dal vedere quell’estetica di cui ci eravamo invaghiti alla sola idea di una partita tra le due inglesi, la realtà ci ha reso un calcio un po’ alla italiana, sporco e fatto di ‘conservazione’ di se stessi. Ma la Champions è questa qui: emozioni controverse, dove tutto accade nella maniera più incredibile e meno pronosticata. Origi ci mette il sigillo e del bel calcio ieri persino Klopp se n’è infischiato. Possiamo dirlo, Klopp non è più il secondo, il Liverpool è campione d’Europa.

Oggi lo scettro d’Europa dopo un lungo predominio iberico, dalla Spagna torna in Inghilterra, a riportarcelo è un tedesco e lo fa con un calcio all’italiana. This is Champions League.

Egle Patanè

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