Le affinità elettive

Le affinità elettive sono naturali, sono dell'uomo: esistono anche nel mondo del calcio, esistono di certo tra Dybala e Vlahovic

0
154
Fonte immagine combo

La parola affinità contiene in sé qualcosa di forte.

Rimanda ai legami più ancestrali, quelli di sangue, con un familiare, un fratello, un parente.

Ma le affinità – ci dice Goethe nel suo romanzo – sono anche elettive.

E sì, sembrerebbe una cosa fortemente romantica, se non che il tedesco in realtà si rifà alla chimica, a quei legami naturali che si costituiscono tra due elementi in base a una semplice attrazione oseremmo dire primordiale.

Dove vuoi arrivare con questa – forse noiosa – premessa, Daniela?

Vedere Vlahovic esultare alla stessa, identica maniera di Dybala dopo la strepitosa rete messa a segno contro la Triestina nel 2019 mi ha riportato, appunto, alle affinità elettive.

 

Non è nemmeno la prima volta, del resto, che parlando di Dybala e di Vlahovic parlo di “affinità elettiva”.

Dal primo momento che li ho visti insieme, dopo la prima esultanza subito dopo la prima marcatura del serbo in bianconero, ho sentito come se ci fosse dell’elettricità tra loro.

Faccio quasi fatica a spiegare, perché davvero, come si può spiegare l’elettricità?

È una cosa naturale, composta da un flusso di ioni che si spostano da una parte all’altra.

È – per l’appunto – una questione di chimica.

E tutte le volte che li vedevo l’uno accanto all’altro, mi arrivava questa specie di scossa.

Non era la prima volta che Paulo stabiliva un legame profondo con un compagno di reparto. Chi ha dimenticato il compagñerismo con Gonzalo Higuain?

Più che comprensibile, tra due argentini che si ritrovano a giocare in Italia nella stessa squadra.

Ma cosa possono avere in comune un giovane uomo di Laguna Larga e un ragazzone di Belgrado?

La strepitosa sintonia sviluppatasi in un istante tra Paulo Dybala e Dusan Vlahovic va al di là di tutto ciò che noi potremmo scrivere su di loro.

È la dimostrazione che i rapporti umani ( talvolta e quasi magicamente) non hanno bisogno di elementi oggettivi e misurabili, ma si costruiscono quasi seguendo una “corrente”.

Solo così riesco a spiegare il modo squisitamente sensibile, intuitivo con cui il giovane serbo è rimasto al fianco dell’ex Diez della Juventus nelle difficilissime settimane che lo hanno portato a lasciare la Juventus. In silenzio, senza parole, solo ed esclusivamente con la sua presenza, fino agli ultimi istanti da soli nello Stadium oramai vuoto.

Solo così, a distanza di più di un anno dalla loro forzata separazione, riesco a spiegare quell’esultanza, troppo simile, troppo uguale e troppo vera, incastrata (paradosso dei paradossi) nell’identica trattativa di mercato con l’identico giocatore del 2019.

Solo cosi mi spiego il fatto che Dusan abbia lasciato i commenti aperti sotto il suo post di Instagram, quasi a chiedere il supporto dei tifosi, un supporto che quattro anni fa fu la linfa, l’energia che diede all’argentino la forza di opporsi.

Il calcio è umano, del resto. E lo so che ci si sta sforzando ovunque per farcelo dimenticare, per cancellare le emozioni perché sono scomode per il business.

Almeno, la Juventus ce la sta mettendo veramente tutta.

Ed ha dell’incredibile questa cosa, perché  da una comunanza, da una condivisione di affinità nascono le rinascite. Sono una speranza, non una minaccia.

Noi tifosi resistiamo insieme a Vlahovic. Come abbiamo resistito insieme a Dybala quattro anni fa.

Insieme a loro, insieme a quei pochi ( troppo pochi oramai) che ricordano cosa sia veramente la Juventus e cosa significa indossare quella maglia, amarla e, se occorre, combattere per lei.

Daniela Russo