Lazio, volantino degli Ultras vieta le prime dieci file alle donne

Il volantino degli Ultras fatto circolare prima del match contro il Napoli nella prima di Campionato recita senza mezzi termini: "Le donne stiano dietro"

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Il sessismo e il maschilismo non vanno mai in vacanza.

Neppure ad agosto, neppure in una giornata di lutto nazionale.

A volte si trincerano e si mascherano con la goliardia e la faciloneria, in un mix di luoghi comuni e addirittura di divieti.

 

Come il discutibile contenuto del volantino fatto circolare in Curva Nord all’Olimpico prima della partita di campionato Lazio – Napoli dagli ultras biancocelesti, gli stessi degli adesivi di Anna Frank in maglia della Roma.

“La Nord per noi rappresenta un luogo sacro – recita il testo – un ambiente con un codice non scritto ma da rispettare. Le prime linee, da sempre, le viviamo come fossero una linea trincerata. All’interno di essa non ammettiamo donne, mogli e fidanzate. Pertanto le invitiamo a posizionarsi dalla decima fila in poi. Chi sceglie lo stadio come alternativa alla spensierata e romantica giornata a Villa Borghese, andasse in altri settori”.

Il testo è firmato “Direttivo Diabolik Pluto”, un gruppo nato dalle ceneri degli Irriducibili, lo storico gruppo di estrema destra; il leader è Fabrizio Diabolik, che attualmente è detenuto.

Tralascio il concetto del calcio come guerra, dello stadio come trincea, dei tifosi come combattenti di una battaglia che necessiterebbe di un approfondimento a sé; mi soffermo invece sul concetto che la donna – anche nello sport – secondo l’idea di questi “signori” possa essere gestita e contenuta  dagli uomini che ne decidono persino il posto a sedere.

Termini come ‘non ammissione’ e ‘sacro’  suonano, oltre che anacronistici, come stereotipo di “abitudini” e convenzioni che oggi più che mai si cerca di combattere ed arginare nei Paesi dove la donna è considerata ancora un essere di cui l’uomo può disporre; curioso che altrove si fanno passi avanti, in Curva Nord si fanno passi indietro.

Indietro di dieci file.

Silvia Sanmory