L’Africa, l’uomo bianco e il tentativo di colonizzazione 3.0
La polemica è scoppiata fortissima dopo le dichiarazioni di Drogba e Eto’o: l’Africa non è la cavia di niente e nessuno ma qualcuno però non lo ha ancora capito
Lo sport mondiale, lo sappiamo, è tutto fermo. In tempi di pandemia globale deve necessariamente essere così, per il rispetto delle regole, per la salvaguardia della propria salute e di quella di chi ci sta intorno. Il mondo dello sport è stato esonerato da questo tsunami che ha travolto prima la Cina e poi si è diffuso in Europa e nel resto del mondo. Già, quel resto del mondo che comprende il continente più affascinante e controverso da decifrare sotto tanti aspetti, l’Africa.
La terra sconosciuta per molti, sognata da tanti, così sconfinata e popolosa. L’Africa dalle mille facce, da quelle del continente “nero” a quella che guarda sempre più alla vicina Europa. Quella che sforna campioni di velocità, inarrivabili gazzelle nella savana dell’atletica; quella degli uomini del pallone che onorano il proprio paese ad ogni importante competizione e che, appese le scarpette al chiodo, riescono addirittura a diventare presidenti della propria nazione (come nel caso del mitico George Weah, Capo di Stato della sua Liberia).
L’Africa di Mandela, l’uomo della libertà dall’apartheid, della rivendicazione dell’accettazione dell’altro contro l’insulso odio razziale.
L’Africa di oggi, il continente ancora nero ma purtroppo, inspiegabilmente, ancora oggetto di tentate speculazioni, anche in un tempo difficile e tragico come quello dovuto alla diffusione del COVID-19.
Ci è finita suo malgrado nell’occhio del ciclone l’Africa, perché, oltre al numero enorme di contagi e all’impossibilità di arginare in maniera forte l’epidemia, vista la mancanza di strutture adeguate, di zone estremamente povere, di problemi legati anche alle situazioni politiche di molti paesi, a causa della proposta, avanzata da due medici francesi in televisione, di sperimentare in Africa il vaccino contro il Coronavirus.
Una proposta che ha fatto andare su tutte le furie parecchi protagonisti dello sport mondiale provenienti proprio dall’Africa.
It is totally inconceivable we keep on cautioning this.
Africa isn’t a testing lab.
I would like to vividly denounce those demeaning, false and most of all deeply racists words.Helps us save Africa with the current ongoing Covid 19 and flatten the curve. pic.twitter.com/41GIpXaIYv
— Didier Drogba (@didierdrogba) April 2, 2020
Due su tutti si sono esposti in maniera diretta e durissima contro questa idea: Didier Drogba e Samuel Eto’o. I due campioni si sono scagliati contro i due medici promotori della proposta con parole fortissime e pesanti.
“L’Africa non è il vostro parco giochi. Non siamo cavie” .
Il tutto contornato da parole e accuse dirette, scagliate come pietre contro chi, evidentemente, ha intravisto nel grande continente, l’incubatrice globale per sperimentare probabili cure per arginare in futuro la diffusione di questo potente virus.
C’è chi ancora oggi, alla bella epoca del 2020, che presumibilmente, vede nell’Africa una terra di conquista, che sia per razzia o per fare esperimenti sugli esseri umani.
Un’idea stramba e anomala di colonialismo che qualcuno non ha mai abbandonato del tutto, che rievoca i nefasti secoli in cui l’africano era un termine dispregiativo e il territorio era unicamente un luogo da depredare e sottomettere.
Un’uscita infelice dei due medici francesi, che i campioni dello sport non hanno fatto passare inosservato ma hanno invece posto all’attenzione dei media che ne hanno messo subito in evidenza l’aspetto disumano.
L’Africa non è un laboratorio di test, ha continuato Drogba, mentre l’attaccante senegalese Demb Ba ha puntato il dito sul colore della pelle, su quel bianco che viene forse ancora visto superiore al nero e quindi in diritto di “comandare” in qualche modo su di esso.
Il calcio si ribella, lo sport si ribella ad ogni tipo di speculazione e di simil colonialismo 3.0, quello “dell’utilizzo” sugli esseri umani stanziati in un dato territorio, per esperimenti che nulla, diciamolo pure a gran voce, hanno di umano.
Simona Cannaò