Caos Casertana: la sconfitta dello sport in tempo di Covid

La vicenda legata al match tra Casertana e Viterbese ha dell’incredibile, ben oltre l’assurdo, ed è lo specchio della fragilità dei protocolli Covid applicati al mondo del calcio

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La vicenda legata al match tra Casertana e Viterbese ha dell’incredibile, ben oltre l’assurdo, ed è lo specchio della fragilità dei protocolli Covid applicati al mondo del calcio. 

Siamo il Lega Pro, 16a giornata di campionato. Ad incontrarsi sono – appunto – Casertana e Viterbese.

La squadra di casa è nel pieno di un focolaio Covid: 15 giocatori positivi e 3 febbricitanti. Chiede il rinvio alla Lega che non glielo concede (avendo già usufruito del bonus rinvio nella precedente giornata) e costringe – di fatto – la Casertana a scendere in campo con soli 9 giocatori, tra i quali 3 con lievi sintomi febbrili in attesa del tampone. 

Due dei tre tesserati, risulteranno positivi dal risultato del tampone effettuato il giorno del match dalla Asl che  – dal canto suo – pare avesse chiesto di attendere i risultati dei tamponi prima di scendere in campo.

Il condizionale è voluto perché di questa vicenda se ne capisce molto poco.
Un rimpallo di responsabilità, molto all’italiana.

La Casertana, accusa la Viterbese di aver negato il rinvio del match, la Asl si difende dichiarando di essere stata interpellata solo per fare i tamponi e non per decidere se fosse o meno il caso di giocare, la Lega tace.

Il presidente D’Agostino, al termine della gara, è un fiume in piena:

E’ stato scandaloso e vergognoso. Mi vergogno di far parte di questa Lega. Se questo è il calcio, vuol dire che io non c’entro niente. Mi sento deluso, offeso e preso in giro da tutti. Non ho mai visto una cosa del genere. C’hanno fatto fare tamponi su tamponi in questa settimana ed alla fine siamo stati costretti a scendere in campo in nove. Purtroppo siamo rappresentati malissimo. Prendo le distanze da quelle persone. Il presidente della Viterbese ha messo a rischio anche la sua squadra. Eravamo in nove ed in più tre calciatori erano con la febbre ed abbiamo ritenuto opportuno sottoporli a tampone. Eravamo in attesa dell’esito, ma c’hanno costretto a scendere in campo prima.

Gli fa eco il capitano, Gigi Castaldo, la cui rabbia mista ad incredulità per la situazione, viene resa benissimo dalle sue parole nel post-partita:

Lo dicevo anche in campo durante la partita. Mi vergogno di essere italiano e calciatore. Si è toccato il fondo. Si è giocato con la vita delle persone. Durante la gara mi veniva da ridere. Forse da capitano ho sbagliato a non radunare la squadra dicendo di non scendere in campo. Si è messa una partita di calcio davanti alla vita. Siamo rappresentati malissimo. La speranza è che i tre ragazzi che stavano male risultino negativi. Se si è sbagliato qualcuno deve pur pagare. Non c’è stato buonsenso. Devono vergognarsi tutti.

Oltre alla beffa della sconfitta, la Casertana ora si trova a rischiare un’indagine per epidemia colposa.

Ma di chi sono le colpe, in casi come questo?
Chi avrebbe dovuto bloccare il match e rinviarlo?
Perché la Asl non si è imposta, come invece aveva fatto nel caso di Juventus-Napoli? 

È chiaro come il protocollo non sia assolutamente idoneo. In primis perché lascia troppo spazio all’interpretazione; troppe deroghe, troppi se e troppi ma… Il risultato? Una grande confusione.

Se una squadra ha già chiesto il rinvio di una gara, non può chiederne un secondo, neppure se non ha il numero minimo di giocatori da poter schierare.

Un’eresia, oltre che una contraddizione. 

Se di tutela della salute pubblica si parla, allora qui non si è tutelato la salute di nessuno. Nè dei giocatori della Casertana, nè di quelli della Viterbese e tantomeno la salute del calcio. 

Se ci sono dei colpevoli è giusto che si assumano la responsabilità delle proprie decisioni. Non si può mettere a rischio la salute, neppure se gli interessi economici sono tali da pensare di poterci passare sopra.

Una brutta pagina di calcio, destinata a far discutere e, si spera, a far riflettere sulle fragilità di un protocollo non così ferreo e – soprattutto – che non garantisce la minima tutela nè ai tesserati nè allo sport.

 

Micaela Monterosso

 

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