A volte il tifoso dovrebbe limitarsi a fare il tifoso
‘I tifosi parlano troppo’ Con queste parole dichiarate qualche mese fa, il romanista Kolarov si era guadagnato la critica e l’antipatia di buona parte dei suoi tifosi e di un’altrettanta fetta di tifosi del resto d’Italia. Eppure, ripensandoci bene e analizzando meglio l’intento nel pronunciarle, il serbo giallorosso non aveva forse tutti i torti.
In occasione della partita casalinga contro il Bologna l’Inter ha finalmente ritrovato il suo pubblicopiù caldo dopo trentotto giorni da quell’infausta e funesta notte di Santo Stefano, quella fetta di tifoseria che spesso e volentieri – io in primis – abbiamo definito ‘motore del calcio’. I tifosi del Biscione affermano con tanto di presunzione che l’amore del tifoso che ogni domenica segue la Beneamata ‘in trasferta e giù in città’ è viscerale e assoluto nei massimi termini, sicché ogni qual tipo di paragone decade aprioristicamente.
Se nessuno ama l’Inter più di chi sceglie di essere ‘sempre al suo fianco’, certo è che uno stipendio di 7 mln annui non può rappresentare lo stesso sentimento genuino e incondizionato che quelli armati di bandieroni e sciarpe mettono ogni maledetta domenica. Probabilmente non esiste slogan migliore e più veritiero perché poi, in fin dei conti, quel ‘passeranno i giocatori, le annate e le società, ma noi siam sempre qua, siamo gli ultrà’ non è neppure così bugiardo o pompato. Al contrario, è quanto di più vero si possa dire a proposito del calcio.
Ma attenzione! Se il buon Machiavelli giustificava i mezzi che portavano al fine, un motivo l’avrà pure avuto e se una frase è tanto inflazionata da secoli da diventare luogo comune qualche altro buon motivo ci sarà stato.
Ma è sempre vero? Il fine giustifica sempre i mezzi?
Perché è anche vero che il medium è messaggio e per pura logica aristotelica se il fine giustifica i mezzi e il medium è messaggio, il medium non sempre giustifica il fine.
Vengoe mi spiego.
Domenica pomeriggio i cancelli del gate 1 e 2 sono finalmente stati riaperti e la Curva Nord finalmente si è finalmente riempita (anche se riempita, rispetto agli standard di presenze, è forse un eufemismo) tuttavia nei primi 45 minuti nessun coro né bandierone è stato sollevato e il silenzio che aleggiava in curva era deprimente quasi più della rete beffarda infilata da Santander.
Ligabue cantava ‘il meglio deve ancora venire’ e a San Siro, per contro, più che il meglio è il peggio ad essere arrivato quando, dalla ripresa, iniziano a sventolare le bandiere ma i cori faticano a partire e quei pochi intonati erano più scoordinati e fievoli che in una partita di Lega Pro. Molto peggio che in una partita di Lega Pro.
L’unico coro unanime e ben scandito reiteratamente era quello in ricordo all’ultras morto durante gli scontri di Inter-Napoli, Davide Belardinelli soprannominato amichevolmente Dede, al quale la curva dedica pure la Fanzine.
Tralasciando quanto scritto sulla Fanza, sul quale probabilmente sarebbe forse meglio stendere un velo pietoso (per restare in tema di slogan), imperterriti gli ultras hanno sollevato diversi ‘Buu’ razzisti dedicati a Mbaye, ex nerazzurro (tra le altre cose), che non si sono limitati ad una sola occasione (non che se anche fossero stati intonati una sola volta sarebbero giustificati); fortunatamente un’altra fetta di tifoseria, e non solo quellioltre i seggiolini verdi(astenuti ai buu razzisti ce n’erano anche in curva), ha prontamente risposto condeifischi nei confronti del buu prevaricando questi ultimi.
Di ciò ne ha tenuto conto il Giudice Sportivodella Serie A Gerardo Mastrandrea che lo ha ritenuto un provvedimento valido al punto da decidere di non procedere con la sanzione nei confronti dell’Inter in merito ai cori di discriminazione razziale.
Ciò che lascia riflettere però è l’atteggiamento avuto dalla curva nei confronti della squadra.
Se i fischi verso Perisic nascono da una contestazione in merito al comportamento del croato e alla sua volontà di ‘essere ceduto’ e il ‘Romanista di merda’ urlato a Nainggolan accompagnato da fischi al momento della sostituzione sonoespressione di un ‘non siete degni della maglia che portate’ o di un dissenso circa l’atto di mancata professionalità, farlo durante i novanta minuti di gioco si scontra con l’incoerente macchiarsi dello stesso crimine.
Per coerenza, se la militarista filosofia dell’ultrà è quella secondo la quale in curva si va per tifare ancor prima che di assistere alla partita e del ‘chi non canta che cosa viene a fare qua’, che siete andati a fare là?
Se l’etica della professionalità calciatore è, e dev’essere, quella di correre e giocare dando l’anima fino al triplice fischio, che senso avrebbe poi contestarla utilizzando lo stesso metodo, ovvero quello di salire sugli spalti e venir meno al proprio dovere da tifoso che sprona e incita i suoi fino al triplice fischio?
E allora per la logica di cui sopra, persino commentare con tanto di insulti il post di Icardi si allinea alla stessa controversa causa.
Capitolo Mauro Icardi
Maurito non si perde in giri di parole e diversamente da quanto fatto in campo, persosi tra le linee e fuori dall’area, su Instagram va dritto in scoresenza addolcimenti vari e con una durezza che magari sarebbe stata più gradita qualche ora prima in campo contro l’avversario. Legittimato chi dice che avrebbe fatto meglio ad utilizzare qualche eufemismo in più, delegittimato però chi invoca un suo silenzio per i seguenti motivi.
Il primo perché le parole di Icardi su Instagram sono solo una rivisitazione personale di quel tanto sciorinato aforisma di Facchetti ‘Ci sono giorni in cui essere interista è facile, altri in cui essere interista è doveroso‘. A tal proposito rammenterei quel memorabile giorno di ottobre in cui la curva si scagliò contro Icardi per la famosa autobiografia, prima con un comunicato stampa clamoroso pubblicato durante la notte che precedeva il match contro il Cagliari, match delicato visto il periodo e poi lo fischiò e contestò per tutti i novanta minuti di gioco. E non a caso, il 9 nerazzurro finì per sbagliare un rigore che avrebbe potuto cambiare le sorti di un match che poi fu perso.
Spalletti parla di tifo come dodicesimo uomo in campo (o tredicesimo laddove il dodicesimo è l’allenatore) e proprio quando quel dodicesimo uomo sarebbe dovuto essere decisivo è venuto a mancare, esattamente come Icardi sotto porta e una lucidità tale e quale a quella di Nainggolan al momento del calcio di rigore contro la Lazio.
Il secondoma non meno importante motivo riguarda ancora una volta un atteggiamento che mette alla luce un’ulteriore controversia di base: per mesi e mesi, se non addirittura anni, ad Icardi, capitano più che giocatore, è stata recriminata mancanza di coraggio e leadership nel non metterci la faccia nei momenti di difficoltà, salvo poi contraddirsi dandogli addosso quando questa leadership viene fuori ribadendo dei concetti che a quanto pare gli stessi ultrà che urlano ai giocatori di non esser degni della maglia che indossano hanno probabilmente dimenticato. O forse -verrebbe da dire – ricordano solo all’occorrenza.