Il quarto di finale della Juventus è già segnato da un Real troppo più forte: la storia, infinita, di Cardiff continua spietata per una Juve che non impara dai suoi errori
“Abbiamo imparato la lezione di Cardiff”. Queste le parole che hanno riecheggiato nell’ambiente bianconero fino a qualche giorno fa: sì, il Real Madrid è mostruoso e parte favorito, la Juve tuttavia può giocarsela perché ha imparato dai suoi errori.
Ma poi inizia la partita e dopo appena tre minuti – tre, come quel tre giugno e questo tre aprile – sembra l’esatto continuo della finale dello scorso anno. Stesso marcatore (e chi se non lui, l‘uomo bionico alias CR7) e stesse inspiegabili ingenuità di una difesa che, occorre dirselo con onestà, ormai ha perso definitivamente lo smalto degli antichi fasti. Tutto sembra fermo a dieci mesi fa: ma lo sembra perchè sostanzialmente lo è.
Cosa ha fatto la Juventus per presentarsi preparata a questa importantissima e difficilissima partita? Cosa ha veramente fatto, a partire dall’estate scorsa, in cui Bonucci e Dani Alves sono arrivati ai saluti? Come si arriva preparati, dopo che per mesi si pratica una politica del “gioco 10 minuti e tanto mi basta”, a affrontare 190′ di fuoco con questa sorta di giganti in maglia candida abituati a stare sempre e costantemente sul pezzo?
La verità è che segnali allarmanti erano già arrivati dagli ottavi. In questa stessa sede abbiamo discusso di come non sarebbero bastati gli squilli del singolo, con cui seppur a fatica la Signora ha trapassato Wembley. E non è sufficiente caricare a pallettoni quegli stessi singoli con il rischio -come difatti è accaduto- di una overdose di adrenalina/responsabilità assolutamente controproducente: occorre attingere a quel famigerato gioco corale che fino a oggi non abbiamo ancora visto, e che apre ancora una volta la ferita più dolorosa nel corpo bianconero: quella del centrocampo. Troppo occupati a risparmiare e a presumere di aver recuperato un gap mostratosi maggiormente ieri in un match nel quale la Juventus si è anche impegnata, fino alla seconda rete di Ronaldo: e questo rende tutto ancora più emblematico, visto che a Cardiff i bianconeri nella ripresa non erano nemmeno entrati in campo.
Un sogno non si trasforma in obiettivo così, per caso: occorre coltivarlo con tempo, denaro e lavoro. E lavoro significa sudore, non campare di rendita per settimane: significa presentarsi a Torino con la voglia di dare l’anima per provare, almeno, a sbranare chi lo scorso giugno ti ha fatto letteralmente a pezzi, e invece ti lascia ancora una volta a sanguinare.
A questo punto una domanda si concretizza, lecita: è tutto qui, ciò che la Juventus di Massimilano Allegri può dare in Europa? Probabilmente sì: lo dice il campo, non quello italiano in cui la Signora primeggia per manifesta superiorità, bensì quello assai più esigente e severo delle competizioni continentali. E allora è giusto concentrarsi sul vero obiettivo, il settimo scudetto. Quello che per molti sarà ancora una volta la panacea, lasciando pochi perplessi a chiedersi perchè questa squadra non riesca a imparare dai suoi errori.
Daniela Russo
(tutte le immagini sono tratte dal profilo Facebook Juventus)