Le parole di Juan Cuadrado nell’intervista a “La Stampa” sono un segnale di grande speranza per chi ha vissuto la povertà in prima persona.
Il laterale bianconero è arrivato in Italia nel 2009. Sono passati tanti anni da quando calcava i campi impolverati accanto alle piantagioni di banane che sua madre raccoglieva per racimolare qualche soldo.
Ha vissuto sulla sua pelle i sacrifici che sua madre ha dovuto ogni giorno affrontare dopo l’assassinio di suo padre quando lui aveva soli 4 anni.
Le guerre tra clan narcotrafficanti colombiani e la povertà, sono stati il suo habitat per molto tempo, rifugiandosi così nel calcio.
Cuadrado è dovuto crescere troppo in fretta per far sì che la sua famiglia si sfamasse e non dimentica nemmeno il Medellin, città trampolino per la sua ascesa nel calcio europeo.
Il suo motto? Non perdere mai il sorriso.
E lui ne è l’esempio concreto.
Nonostante la tragedia della morte di suo padre e lo stato in cui viveva, non ha mai perso la speranza di poter un giorno diventare un calciatore professionista.
“L’idea è che le persone possano mettersi nei miei panni. Ho passato momenti difficili. Questo può servire da esempio ai giovani e agli altri in modo che sappiano che non importa quanto siano complicate le cose, c’è sempre una via d’uscita. Cerco di trasmettere allegria: a volte siamo troppo tesi, per me la vita è felicità, che non vuol dire essere giocherelloni o superficiali. Le risate non rubano concentrazione: chi ha il mio carattere può essere frainteso”
La perseveranza e la fede, la devozione incondizionata per Dio lo hanno aiutato in questo percorso di crescita fino a portare il calciatore ai massimi livelli.
Senza Dio non sarei nessuno, non basta possedere talento perché va migliorato con il lavoro.
Il 26 maggio di quest’anno, Cuadrado ha presentato il suo libro autobiografico in cui tocca tutti i punti cruciali fino ad insinuarsi nei ricordi più bui che hanno segnato la sua infanzia.
E’ anche l’ideatore dal 2013, insieme a un suo amico, di una Fondazione dei bambini di Medellin per favorire l’istruzione dei bambini di quei paesi dove lui ha lasciato il cuore.
“Con un mio amico ho sviluppato il progetto a Medellin: tanto calcio, scuola, musica e teatro. Cerco di dare un po’ di ciò che ho ricevuto. Voglio insegnare attraverso lo sport e l’arte i valori e principi a bambini in cui mi rispecchio. Nel futuro mi vedo in Colombia in mezzo a loro.“
La semplicità e la disarmante umiltà che lo contraddistinguono, lo hanno reso un calciatore a 360°. Ciò che più lascia il segno è il grande riconoscimento che ogni giorno dedica a ciò che ha lasciato in Colombia.
La riconoscenza, in un mondo, quello calcistico, spesso passa in secondo piano. Per Cuadrado i sacrifici che ha dovuto affrontare e vivere costantemente in Colombia, sono stati lo zoccolo duro per essere ciò che ora è: un calciatore straordinario.
Raffaella De Macina
Fonte copertina: Profilo ufficiale Twitter Juan Cuadrado