Italia fuori dai Mondiali, l’analisi di Riccardo Cucchi: “È scomparsa la leggerezza degli Europei”

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Italia fuori dai Mondiali, l'analisi di Cucchi: "È scomparsa la leggerezza degli Europei"
Fonte: profilo ufficiale Facebook Riccardo Cucchi

L’Italia, per la seconda volta consecutiva, non andrà ai Mondiali e la delusione resta enorme. Il giornalista Riccardo Cucchi ha analizzato quanto avvenuto in esclusiva per noi ai microfoni di Gol di Tacco a Spillo.

L’Italia di Roberto Mancini, la stessa che otto mesi fa saliva sul tetto d’Europa, ha mancato anche stavolta la qualificazione ai Mondiali. Di quanto avvenuto contro la Macedonia del Nord e del percorso che ha portato a questa sconfitta, ha parlato in esclusiva a Gol di Tacco a Spillo il giornalista e scrittore Riccardo Cucchi.

Alla Nazionale Italiana, dunque, sembrerebbe essere mancata quella spensieratezza e quella leggerezza che aveva contraddistinto il percorso degli Euro2020. Un atteggiamento “sbarazzino” che, secondo Riccardo Cucchi, è venuto meno quando è poi subentrata a tutti gli effetti la pressione del campo.

La delusione per la seconda esclusione consecutiva della Nazionale Italiana dai Mondiali è davvero tanta: cos’ha pensato al gol arrivato da parte della Macedonia al 93′?

“Devo essere sincero, un po’ me l’aspettavo perché la squadra non aveva dato l’impressione di avere nervi saldi e testa lucida. Purtroppo è una grande, enorme delusione. Nella storia del calcio italiano ci sono stati anche altri momenti di crisi, ma questo probabilmente è il momento di crisi più acuta.

Non era mai avvenuto che l’Italia non centrasse per due volte consecutive la qualificazione al Mondiale. Contro la Macedonia credo che la squadra abbia soprattutto perso lucidità, smarrito quel furore agonistico che sarebbe stato necessario contro un avversario molto abile tatticamente ma indubbiamente inferiore”.

Questa Nazionale poteva e doveva fare di più, l’impressione può essere quella che già a ottobre la speranza fosse in qualche modo svanita?

“C’erano le premesse secondo me. Si capiva che c’era qualcosa che non girava più come a giugno. La squadra di Mancini nelle prove successive, da settembre a ottobre, fino all’altro giorno, aveva perso quella capacità di giocare con semplicità che ci aveva trascinato durante gli Europei”.

Un gruppo quello azzurro, nella serata contro la Macedonia del Nord, che sembrava essere smarrito, quasi un lontano parente di quello voglioso di vincere, visto negli Euro2020: cos’è successo secondo lei?

“Io ho una tesi, contestabile come tutte le tesi, però penso questo: penso che i ragazzi abbiano giocato bene all’Europeo. Addirittura riuscendo a vincerlo ed è un risultato che in pochi pensavano potesse essere raggiunto. Proprio perché non avevano la pressione e l’obbligo di dover vincere un Europeo. Dopo due anni di lavoro e ricostruzione, ciò che si chiedeva a Mancini era di giocare un buon europeo e vedere fin dove si sarebbe potuti arrivare.

Certamente, in pochi pensavano davvero che l’Italia dovesse vincere quell’Europeo. E questa mancanza di pressioni ha fatto sì che i ragazzi giocassero in modo “sbarazzino”. Intendo dire con leggerezza, non con superficialità, ma diciamo con una mentalità di una squadra che si stava divertendo.

Questo tipo di atteggiamento è scomparso completamente quando poi si è tornati in campo, perché il vero obiettivo era la qualificazione in Qatar. Mancini per questo era stato chiamato. Ed è evidente che le pressioni diverse, anche uno stato decisamente inferiore rispetto a quello di giugno in molti giocatori, hanno prodotto i risultati che abbiamo visto”.

Sono stati commessi errori da parte di Roberto Mancini? E se si, quali?

“Sostanzialmente la squadra che abbiamo visto all’opera contro la Macedonia del Nord era figlia della squadra dell’Europeo, che pure ci aveva così entusiasmato. Io credo che il più grande lavoro lo abbia fatto prima. Il suo lavoro è consistito nella ricostruzione di una squadra che era a pezzi psicologicamente dopo il pareggio contro la Svezia che ci aveva escluso dai Mondiali della Russia.

Mancini ha così cercato in Italia i calciatori dai quali poter ripartire. Raschiando anche un po’ il fondo del barile, dobbiamo dirci la verità. Perché in questi anni ha convocato davvero tutti coloro che erano convocabili, per cercare di fare una squadra che potesse togliersi qualche soddisfazione. Quella che ha affrontato la Macedonia del Nord non era una squadra molto diversa da quella che poi ha vinto gli Europei a luglio.

L’errore è stato quello di dare fiducia a un gruppo che aveva vinto? Qualcuno dice che forse questo è stato un errore. Ma credo anche che si debba considerare che Mancini non ha avuto molto tempo per lavorare a questa partita e questo, secondo me, è un elemento su cui riflettere.

Il fatto che i club di Serie A non abbiano concesso uno stop più lungo alla Nazionale, proprio perché Mancini potesse lavorarci, ci dice che un altro problema sta emergendo. Che la Nazionale non è più centrale, così come lo era in passato, nel sistema calcio“.

Manca lavoro sul settore giovanile?

“Io vorrei fare l’esempio della Spagna di Luis Enrique. Anche lui, come Mancini, ha avuto il compito di ricostruire la sua Nazionale. Soprattutto dopo l’abbandono del gioco da parte di una generazione di straordinari campioni che avevano vinto Europei e Mondiali. Tra tutti cito, ma non sono gli unici, Xavi e Iniesta. Era difficile immaginare che la Spagna potesse tornare a livelli molto alti dopo quei grandi campioni che avevano contrassegnato un’epoca memorabile.

E invece, l’abbiamo visto, la Spagna è cresciuta tantissimo. E oggi, nella squadra di Luis Enrique, ci sono tanti giovani. Addirittura diciassettenni e diciottenni, che dimostrano di avere un potenziale enorme. Una capacità tecnica evidente e un processo di crescita che è già iniziato. Tant’è che sono convinto che la Spagna in Qatar sia tra le favorite.

Il processo in Spagna c’è stato perché non si è mai abbandonata la cantera. Le cantere spagnole, delle grandi squadre (in primis Barcellona e Real Madrid) i ragazzi arrivano e ad essi si insegna la tecnica. Si lavora sulla tecnica e sulla qualità. Questo processo in Italia non è molto preso in considerazione, perché innanzitutto i settori giovanili non vengono più considerati prioritari.

C’è poco investimento dei club nei settori giovanili. Poi si è abbandonato progressivamente il campo della tecnica e questi ragazzi, in età molto giovane, vengono addestrati tatticamente e vengono costruiti fisicamente. Sono molto fisici ma spesso non hanno le qualità tecniche e quindi è chiaro che anche a livello di Nazionale questo impoverimento tecnico si fa sentire”.

Cosa ne pensa allora delle dichiarazioni rilasciate dal CT a caldo dopo l’eliminazione?

“Lui è sicuramente il più deluso di tutti però a luglio quando abbiamo vinto la finale ai rigori, a Wembley, tutti quanti abbiamo osannato Mancini. L’abbiamo considerato un “piccolo genio” della panchina capace di ridare fiducia e spessore ad una Nazionale. È possibile che da luglio ad oggi il giudizio sia cambiato così radicalmente? Leggo critiche severe, anche nei suoi confronti.

Io mi interrogo su questo. È molto semplice trovare un capro espiatorio e naturalmente, nel mondo del calcio, è l’allenatore. Però credo si debba mantenere una certa lucidità. Nel caso in cui Mancini dovesse abbandonare, e credo che la decisione spetti soltanto a lui visto che ho la sensazione che la Federazione voglia riconfermarlo, è evidente che bisognerebbe trovare altre alternative. Battere altre strade.

Ma, mi domando: al posto di Mancini c’è qualcuno che possa essere considerato in questo momento più bravo come commissario tecnico? Perché se devi cambiare devi cambiare in meglio. Devi fare un upgrade e non il contrario.

Io ho l’impressione che noi abbiamo a disposizione un tecnico giovane, che ha dimostrato sia nei club sia in Nazionale di avere capacità. Credo che sarebbe allora un grande errore allontanarlo. Se poi la decisione fosse sua, il discorso cambierebbe radicalmente. Bisognerebbe a quel punto rispettare la sua volontà”.

Più in generale, in che modo si dovrebbe agire per il futuro?

“Adesso è difficile, molto difficile. Perché sembrava davvero che avessimo imboccato la strada giusta e invece le partite contro l’Irlanda del Nord, contro la Svizzera, contro la Bulgaria, contro la Macedonia del Nord ci hanno detto che purtroppo il percorso si è interrotto, in qualche modo.

Bisogna capirne le ragioni. Certo, c’è un gruppo di calciatori in Nazionale che forse ha superato anche un dato anagrafico utile. Penso ai difensori di grande spessore come Chiellini e Bonucci, che peraltro non erano in campo contro la Macedonia. Bisognerà ritrovare le energie. Però credo anche che non sia possibile immaginare nuove convocazioni oltre quelle che Mancini ha già sperimentato.

Certo, ci sono giocatori che ancora non hanno avuto a disposizione il tempo necessario per dimostrare il loro valore. Penso a Zaniolo, agli attaccanti del Sassuolo. Tuttavia, bisogna capire se questi ragazzi saranno in grado di farci fare il salto di qualità. Il vero problema, che non si risolve nel giro di pochi mesi, e neanche forse di un anno, è quello di avere più coraggio nell’andare a studiare e a ipotizzare una bella riforma di sistema.

Il nostro calcio ha problemi di struttura. Non ultimo il fatto che queste nostre società di calcio, che sono quelle che poi alimentano anche il calcio delle Nazionali, sono un po’ una sorta di gigante con i piedi d’argilla.

Il bilancio di un club italiano per il 70% è formato dagli introiti televisivi. Soltanto per un 20-30% invece è frutto di attività manageriale. Esattamente il contrario, per esempio, di quello che avviene in Inghilterra dove i diritti televisivi incidono in parte decisamente inferiore. E dove le attività manageriali, che vanno dagli stadi di proprietà ad attività imprenditoriali, portano ricchezza e sviluppo in un mercato che non è solo sportivo.

Da noi si è molto indietro e soprattutto siamo di fronte a un panorama di divisioni. L’ultima elezione del presidente di Lega Calcio lo sta dimostrando. Una votazione fatta a oltranza, con divisioni interne. Credo che tutto questo dia il senso di un sistema calcio italiano un po’ invecchiato e che non ha trovato le risorse, le energie e l’intelligenza per riformarsi“.

Alessia Gentile