Punto e a capo. Di nuovo. Stavolta davvero.
Forse esageratamente, ci ho messo ventiquattro ore; non so di preciso se a razionalizzare o a rassegnarmi, ma tant’è: ventiquattro ore per scendere ‘dalle stelle’ e tornare a ‘riveder la terra’.
Quello che l’Inter aveva fatto finora, compreso Wembley, era stato un percorso che nel complesso rendeva onore a un ritorno tra i grandi che sembrava legittimare l’immensa attesa. Le due sconfitte, entrambe in trasferta rispettivamente contro Barcellona e Tottenham non erano tra le più clamorose né così tanto da recriminare. Malgrado frutto di qualche errore di troppo infatti entrambe le sconfitte sono state perdonate ad onor di quel girone di ferro che in molti avevano considerato troppo arduo per permettere che ogni qual tipo di speranza decollasse.
Ingrigirsi per una sconfitta a Wembley o per quella al Camp Nou è lecito nella stessa misura in cui altrettanto lecita ne diventa l’accettazione consapevole. Tutto lecito, tutto approvato, persino quelle sbavature che sul momento avevano fatto sussultare inglobate poi in quella visione complessiva non di certo catastrofica.
Il tempismo non ha aiutato quell’Inter che a San Siro era riuscita a riprendere in mano il destino con quel numero 9 non più piccoletto riuscito a segnare persino all’immenso Barcellona.
Il gol di Icardi valso il pareggio ottenuto a Milano più che un’illusione ha generato un vero e proprio miraggio per i più, convinti di essere approdati nell’oasi colma d’acqua dopo tanto assetato peregrinare. Dopo il Barcellona però arriva la clamorosa caduta di Bergamo, in parte lenita dalla pausa Nazionali per poi essere quasi dimenticata, certamente eclissata grazie al successo contro il Frosinone che aveva risollevato gli animi proprio in vista di Londra. Cannata però Londra, lì dove cadere non sarebbe stato così grave se solo non si fosse complicata la qualificazione che al giorno precedente pareva tanto assicurata, la reazione in campionato sarebbe potuta essere panacea ed eccitante insieme. A complicare il già vacillante equilibrio si addiziona un calendario ostile e degli infortuni incredibilmente beffardi. L’assenza di Nainggolan ha complicato più di tutti le cose, all’Olimpico e allo Stadium ma anche e soprattutto ieri sera contro quel PSV che pareva tanto abbordabile e che invece…
C’era chi si era addirittura lasciato inquietare dal Barcellona, già qualificato e a corto di mostri a causa degli infortuni al contrario degli Spurs in ottima forma…come se il problema fosse stato il Barcellona che si scansa davanti al Tottenham…
La conferenza di Spalletti alla vigilia della partita complica tutto e scombina un po’ gli animi, oltre che gli equilibri, perché Nainggolan da indisponibile diventa incerto e quella garra di cui l’Inter non avrebbe mai voluto fare a meno, se non altro per quella sicurezza psicologica che non guasta mai, mina gli equilibri: Matias Vecino, già estromesso con la Juventus per dei fastidi, ha svolto degli esami i cui risultati non gli permetteranno di scendere in campo.
Spalletti, a corto di centrocampisti, è alle strette dovendosi ‘reinventare’ ma decide di non osare così tanto e prova a non variare molto negli interpreti – almeno non a partita in corso-.
Nessun Keita o Lautaro a sorpresa ma un Candreva mezzala destra e Borja mezzala sinistra e malgrado la lentezza dello spagnolo, corroborato da un Perisic ancora non lucidissimo ma fin troppo sacrificato – come abbiamo già discusso -, il vero dramma della serata lo consuma Asamoah. Incredibilmente inceppatosi come un ragazzino inesperto con i pulsanti del joystick, l’ex bianconero regala praticamente il vantaggio al PSV e gela quel San Siro che soli cinque minuti prima aveva esultato alla rete di Dembele valsa il vantaggio blaugrana sul Tottenham.
In cinque minuti l’Inter ritorna nella situazione di stallo del pareggio di partenza, prova a proporsi e far male, ma un sottovalutato PSV tiene testa e ritmo alti per praticamente tutta la partita, riuscendo a ribattere spesso quelle occasioni mai davvero perfette che i nerazzurri creavano. Se Lozano, poco prima del gol menzionato in telecronaca proprio per lo spessore del giocatore, ha colpito i nerazzurri, Zoet mette in atto quel vecchio detto secondo cui ‘il miglior attacco è la difesa’.
L’estremo difensore para e intercetta, non sta un attimo fermo e controlla ogni pallone velenoso e in direzione di Icardi ma Mauro non ci sta e quel giocatorino tanto criticato nelle ore precedenti per essere stato uno tra i tanti campioni ad essere volato al Bernabeu ad assistere alla finale più unica della storia del calcio, si prende ancora una volta l’onere di condurre la sua Inter.
Ti porto via con me…
Sperato, cercato, voluto veramente come pochi, con quella grinta e rabbia che molte volte gli avevano rimproverato di non avere, Mauro Icardi onora la classe di un eccezionale Matteo Politano e con un quasi meraviglioso inchino insacca sulla sinistra il gol che riapre le speranza nerazzurre. I cuori esplodono e gli occhi si riempiono di lacrime, Icardi esplode in quell’urlo che la dice lunga su una serata che sembra essere ancora una volta un regalo di quell’argentino lì e di una buena suerte lì dove tutto sembrava esser diventato parecchio complicato.
Ma il mise en abyme nerazzurro…
Ma l’Inter è questa qui, lo è nel suo dna, lo dicevamo poco prima la partita, e se c’è un’arte in cui è più abile di tutte le altre è quella di complicarsi la vita, anche inconsapevolmente e inevitabilmente. Se a quel tanto dimenticato Inter-Sassuolo alla penultima di campionato, un piccolo piccolo ma salvifico Crotone aveva regalato un pezzetto di Europa all’Inter, lo stesso non ha fatto ieri sera il grande grande Barcellona. Dopo quella per opera di Dembele, al Camp Nou si trafigge un’altra rete, per opera di Lucas Moura su assistenza di Harry Kane quello che l’Inter era riuscita a neutralizzare. Lo specchio cade e si frantuma: la favola non c’è più.
Per incanto, o per incubo, quell’aura fatata che tutt’attorno infuocava gli animi si disperde col passare dei minuti, e diciamoci la verità, dei cambi: ad Antonio Candreva subentra Keita e poco meno di dieci minuti dopo, al 69’ Lautaro al posto di uno sfiancato e disastroso Asamoah, cambio che prevede l’arretramento in basso a sinistra di Ivan Perisic fino all’ingresso in campo di Vrsaljko al posto di un immenso Politano, in continua crescita come attesta la grande prestazione di ieri ma sfiatato. L’Inter ci prova a mettere giù idee e palloni ma gli olandesi sono altrettanto reattivi e persino più lucidi, tornano in partita a pieno ritmo strappando con denti e nervi – soprattutto quelli negli ultimi minuti della gara – tempo, palloni e soprattutto la qualificazione agli ottavi di finale a quel tanto agognato ‘regno dove l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno’.
L’Inter con 8 punti, gli stessi degli Spurs, esce dalla Champions League e precipita in Europa League a favore degli inglesi che pareggiano in casa del Barcellona, lì dove l’Inter non era riuscita a raccogliere idee e punti, e per la regola della rete fuori casa – quella che lo stesso Eriksen ha decretato il punteggio di Wembley ha segnato pure al Meazza all’andata – si qualifica come seconda alle fasi finali della massima competizione europea.
Non i mostri, non l’inferno, ma la terra. Malgrado l’asincronia con i tempi, veniamo fuori dal regno dell’aldilà e torniamo sulla terra non nel periodo pasquale, ma nel periodo natale, periodo che per gli interisti è, ormai per prassi, una passione. L’Inter però dalla sua parte ha ancora il tempo, per evitare di trasformarlo in calvario e tornare a ‘riveder i mostri’ deve alzare la testa ed evitare parte di quello fatto ieri sera a casa propria dove, davanti a dei tifosi meravigliosi che non mollano mai, ad esser mancati sono stati il livello di grinta e di lucidità necessario per non perdere una partita che si sarebbe dovuto più che potuto vincere.
Il viaggio è finito ma non certo dimenticato né perduto perché l’Inter da questa incredibile tragedia, lì dove a mancare è proprio il lieto fine, trova certamente esperienza, cultura e maturità che però deve saper cogliere a partire da sabato contro l’Udinese per non replicare l’imbastimento natalizio analogo allo scorso anno e continuando con l’Europa League già al primo appuntamento, evitando quanto già sprecato all’epoca della t-shirt verde ‘Sprite’. Ma più di tutto l’Inter ieri sera, a conferma di un percorso eccezionale e in crescendo in questa stagione, ha trovato soprattutto un leader, il suo leader, ad oggi indiscutibile. Mauro Icardi che ancora una volta come Virgilio non entra in Paradiso ma si conferma il vate che trascina l’Inter lontana dall’inferno.
Egle Patanè