Inter e Juventus, due ideologie diametralmente opposte, rette parallele con un solo trait d’union: vincere il Derby d’Italia
Ci sono partite e partite. Ci sono partite che durano novanta minuti e poco più, ce ne sono altre invece che durano una vita intera e che in un modo o nell’altro segnano un pezzetto di storia. Non importa per cosa giochi, non importa la classifica né chi scende in campo. Importa quello che quei novanta minuti rappresentano. In dieci o con la primavera in campo, dal primo al triplice fischio si incastona un tassello nella storia il cui valore è qualcosa che va ben oltre tre semplici punti.
Inter-Juventus non è una semplice partita e a rigor del vero neppure una partita speciale. Forse quella tra Inter e Juventus è ciò che non è e non è ciò che è. Detto più banalmente Inter Juventus non è neppure una partita nel senso proprio del termine. Inter Juve è tesi e antitesi insieme per novanta minuti, una di fronte all’altra, in un rettangolo che ne delimita i confini sforzandosi di contenere la sintesi di due mondi diametralmente opposti.
E allora che proviamo a spiegarlo a fare cosa possa essere quello che il buon Gianni definì il Derby d’Italia?
Ogni definizione risulterebbe limitante e limitata, banale e impoverita. Per definirla basterebbe semplicemente nominarlo. Derby d’Italia. Un’espressione che la dice lunga e dice tutto allo stesso momento. Mourinho dice che partite come questa non necessitano neppure di una motivazione, perché un match così ha già una motivazione a sé stante. E persino la storia, ripercorrendone le tappe sarebbe pleonastico. Il contenuto insito in questo incontro è persino più ampio di quanto il calcio moderno ci abbia concesso di comprendere.
Banalmente c’è chi crede che la rivalità tra Beneamata e Vecchia Signora sia radicata in Calciopoli, tuttavia i memoriali recitano qualcosa di diverso e la rivalità tra le due andrebbe ricercata ben più addietro. C’è chi si spinge indietro fino alla stagione 1960-61, quella della partita vinta dall’Inter a tavolino poi fatta rigiocare su decisione della Caf (allora era presidente federale Umberto Agnelli, presidente anche della Juve) e dei Primavera nerazzurri mandati in campo per protesta e maltrattati 9 a 1 da Sivori e compagni.
Ma forse la loro differenza, nonché rivalità, risiede all’origine delle due squadre, che poi, più che semplici squadre sono veri e propri modi d’essere, distinti e contrapposti.
Da un lato l’Inter, dall’altro la Juve
Due modi di pensare, di agire, di vivere su due poli opposti. Come rette parallele che non si incontreranno mai tra le due è contrapposizione d’ideologia quanto di credo impossibili da conciliare con un unico trait d’union concesso: i novanta minuti sul campo.
Sul campo. Come quello scudetto che la Juve continua a recriminare all’Inter, rea di averlo ottenuto alle tavole rotonde più che sul campo. Sul campo lì dove l’Inter dal canto suo recrimina alla Juventus di non aver dimostrato superiorità se non grazie a delle manovre, anche in quel caso, decise alle tavole rotonde. E alla fine c’è chi, per farsi ad una visione fiabesca della cosa, contrappone l’una all’altra come il bene si contrappone al male. E allora, bene o male, al trionfo di una è quasi sempre fallimento per l’altra e il fallimento dell’altra è anche vittoria di sé stessi. Perché poi, in fondo, essere interista, o juventino che sia, significa anche e soprattutto essere acerrimo rivale dell’altro. Ogni interista finisce ogni domenica con il tifare Inter e la squadra di turno che gioca contro la Juventus. E viceversa, ogni juventino finisce ogni domenica col tifare per la Juve e per ogni squadra in campo contro l’Inter.
Anche sia solo di stato d’animo, tra Inter e Juventus non c’è mai un compromesso e l’unica cosa in comune è l’intento: vincere.
Se per la Juventus, vincere non è importante ma l’unica cosa che conta a prescindere, per l’Inter al contrario la vittoria è importante ma non certo l’unica cosa che conta. E questo lo dimostra la storia. Tuttavia c’è sempre l’eccezione alla regola e la partita di stasera è certo un’eccezione. Se c’è una battaglia da vincere, quella battaglia ha un nome: Derby d’Italia.
Egle Patanè