Il match di ieri sera sarebbe dovuto – e non potuto – essere il punto di ripartenza per risalire da quel tunnel nel quale si rischiava di cadere, eppure quel rischio più che correrlo è stato oltrepassato e il precipizio imboccato. La caduta è libera e questo appare ormai chiaro come chiara è la confusione dilagante e non solo quella aleggiata ieri in campo.
Discutere di quanto accaduto ieri sul rettangolo verde sarebbe persino superfluo, perché da analizzare non c’è quasi nulla come nulla è stato ciò che la squadra di Spalletti ha creato. Ma forse parlare di squadra di Spalletti risulta pure in antitesi con il lungometraggio inscenato ieri al Meazza. Caos, disorganizzazione, appannamento e anarchia: più che una squadra, l’Inter era un’accozzaglia di gente che provava a fare ciò che al momento sembrava più convenevole lì dove di convenevole e opportuno alla fine dei giochi non c’è stato un bel niente.
Spalletti si sbracciava e urlava nel vano tentativo di scuotere una squadra che dopo il gol inspiegabile insaccato da Santander è precipitata nel più buio degli abissi. Black out. L’Inter non è più esistita e ad esser vivi sembravano in tre: Brozovic, Skriniar e Perisic ma disaminare i singoli sarebbe inconcludente quanto l’operato degli stessi nel pomeriggio di ieri.
Passare al vaglio la prestazione dei singoli risulterebbe pleonastico e addirittura deprimente, specie perché ad un certo punto il ridicolo ha preso possesso e probabilmente persino la follia al punto da farci percepire un non so che di ‘ci sto provando’ che fa ancora più pena (nel vero significato del termine).
L’Inter e la ridondanza storica
Il black out arrivato dopo il gol degli emiliani nient’altro è che l’espressione concreta di quanto accade al momento a questa Inter, inceppata non soltanto sul campo. Come detto e ridetto, ancora una volta la Beneamata rende giustizia all’antipatico Georg Wilhelm Friedrich e gennaio si conferma il periodo nero degli interisti ma gennaio è finito così come il calciomercato e le scuse dovrebbero essere altrettanto esaurite, ad essersi esaurita però solo la garra che a inizio stagione aveva fatto entusiasmare.
Dopo il ‘ri’-gol di Vecino, le crisi da giovedì nero sembravano essere scongiurate e invece rieccoci qua, agli albori di febbraio con un’allerta che rievoca i mostri di un passato che continua a venir fuori dagli armadi di Appiano o di San Siro o magari di Vittorio Emanuele. Quanti spettri! Talmente tanti da sbucar fuori da ogni angolo, un po’ come quelle notizie che quotidianamente trapelano e non a caso destabilizzano ambiente, squadra, giocatori ed equilibri.
Ed eccoci, puntuali all’ombra dell’ultima neve a discutere di un calo che come di consuetudine si ripropone sempre allo stesso modo. Inesorabilmente l’Inter cede il passo, esaurisce le idee più che le energie e non trova la ben che minima via d’uscita.
Spalletti: tagliategli la testa!
Uno psicodramma che assume i caratteri Shakespeariani e che come al solito pende sempre verso un’unica quasi scontata drammatica piega. Come sempre infatti il primo ad essere considerato epicentro tumorale è l’allenatore, un po’ come accaduto con i predecessori di Luciano e allora più che di chemio si tenta un intervento invasivo e devastante mirato al punto focale del tumore con il preciso intento di estirparlo.
Ma i chirurghi lo sanno, per sconfiggere un cancro intervenire estirpando il nucleo principale di esso spesso non basta perché quasi sempre tutt’attorno si sono generate metastasi e non intervenire su quelle diventa l’irrimediabile passo verso la ricaduta e probabile morte.
Eppure all’Inter da un po’ di tempo a questa parte c’è la tendenza a colpevolizzare quasi sempre l’allenatore, considerato spesso e volentieri il nucleo principale della neoplasia maligna, senza mai considerare le possibili metastasi che, trascurate, negli anni continuano a diffondersi e ad attaccare.
Dopo l’ennesimo triste risultato, la società organizza un summit tra dirigenza e allenatore durante il quale si è confermata la fiducia al tecnico di Certaldo ma con un ‘ultimatum’ legato ai risultati. Ecco fatto. Ancora una volta un’altra testa da tagliare. E dopo lo stramazzo giù per il pozzo, ecco il coro in sottofondo alla regina di cuori maniera: la disavventura è confezionata e di wonderland qui c’è davvero poco.
Anarchia o colpo di stato?
Quello che fa clamore è l’opacità della cosa, perché poco più di un mese fa l’Inter sfiorava una qualificazione agli ottavi di Champions, godeva di una posizione in classifica che sembrava poter migliorare piuttosto che il contrario, giocava una gran bella partita a Torino, salvo poi perdere contro la capolista per una prodezza di un signor marcatore, vincere contro la seconda in classifica e comparire come tra le migliori del campionato. Come si è giunti al precipizio? Non sarà certo l’infortunio di Keita ad aver sancito la crisi e il mercato è fin troppo inflazionata come scusante di quattro prestazioni disdicevoli e altrettanti risultati.
Come è possibile che una squadra che fino ad un mese fa era nelle condizioni di cui sopra adesso sembra non avere più un minimo di idee sfociando nell’anarchia e nel caos tattico e non solo di ieri?
E allora occhio, perché in tanto trambusto, l’anarchia potrebbe essere preludio di colpo di stato. E allora, in quel caso ci sarebbe da capire il tumore quanto sia realmente diffuso.
Egle Patanè