Chissà cosa sarebbe accaduto all’ Associazione Torino Calcio, oggi Torino FC, se quel 3 maggio non fosse partita alla volta di Lisbona, per un’amichevole. Un favore a un amico di Valentino Mazzola, Francisco Ferreira.
Se lo chiedono ancora oggi i tifosi granata – se una Sliding Door avesse cambiato il corso della storia – cosa sarebbe oggi il Toro.
Erano chiamati gli “Invincibili”, una squadra che diventò tragicamente un mito.
Erano la colonna portante della Nazionale, era il Grande Torino in predicato di conquistare il quinto scudetto consecutivo, era una delle formazioni più forti della storia del calcio, un ciclo sportivo durato 8 anni.
Il Grande Torino: un sogno morto all’alba, in quella triste sciagura nota come la “tragedia di Superga” nella quale l’intera squadra perse la vita.
Non c’è sciagura che possa annientare la memoria e i ricordi, che vanno assolutamente custoditi soprattutto per un’identità sportiva ancora così ferita come quella granata.
E in questa occasione del 71° anniversario di questa tragedia che incontriamo Domenico Beccaria, custode di questa memoria: perché è il Presidente dell’Associazione che ha creato un museo dedicato al Grande Torino. Non soltanto un memorabilia della mitica squadra, ma un polo culturale messaggero di pace.
Domenico racconta la sua impresa in difesa della memoria granata e della perseveranza di quel sogno di fratellanza appartenuto a suo padre. Il sogno di un grande tifoso granata e del suo migliore amico, tifoso Juventino, della loro amicizia e complicità nel seguire le loro squadre del cuore.
Erano sentimenti veri, dove si condivideva quel poco o quel tanto con gli altri. Domenico porta avanti questi valori, perché ci crede e sicuramente un giorno ci riuscirà.
Domenico, tu sei l’artefice e il creatore del museo Grande Torino, ci puoi raccontare di te e come e’iniziata questa bella avventura?
Come tutte le belle avventure, nasce un po’ per caso e molto per amore. L’impulso lo dà la chiusura del Filadelfia, il 30 giugno 1994, e la telefonata di un amico con cui decidiamo di fare qualcosa, perché non ce la sentivamo di assistere allo scempio senza fare nulla. Da allora di tempo ne è passato e di piccoli e grandi scempi, in ambito granata, ne abbiamo comunque purtroppo visti molti. Ma è anche rinato il Filadelfia, anche se deve ancora essere completato ed è soprattutto nato il Museo del Grande Torino.
In questa impresa culturale in nome del Grande Torino, squadra diventata un mito, quanto c’è dei tifosi e quanto di Torino Fc società?
Se consideriamo come un unicum le due entità, ovvero i tifosi e la società, possiamo tranquillamente dire che il Museo è una ditta individuale, cento per cento in mano ai tifosi. E sotto un certo punto di vista è anche un bene. Nel caso peggiore, i presidenti cambiano e non sempre sono attenti e sensibili alla storia della società che presiedono, nella migliore delle ipotesi, anche le dirigenze più illuminate ed attente alla storia, tendono comunque a realizzare musei che hanno più la mission di promuovere in brand societario, più che raccontare una bella storia di sport.
La sede del museo è a Grugliasco, perché non a Torino?
Questo è un tasto dolente. Il Museo nasce a Superga nel 2002, ovviamente il quattro maggio. Dopo cinque anni scade il contratto di locazione e veniamo sfrattati, benché noi si sia sempre stati assolutamente rispettosi della nostra parte del contratto. La scusa (perché diciamocelo chiaramente, di scusa si trattò) era che c’era bisogno di quei cento metri quadri per ampliare la collezione degli arredi di casa Savoia.
Non so se avete presente quanto sia ampio il corpo di fabbrica della Basilica di Superga. Migliaia di metri quadri. Proprio quei cento lì servivano? Mah.
Così, siamo nel 2007, dopo le Olimpiadi invernali, e ci sono centinaia di migliaia di metri quadrati dismessi ed inutilizzati a disposizione, ma la giunta comunale, Sindaco Chiamparino, compie il miracolo di non individuare mille metri quadri da offrirci per realizzare il Museo in città. Arriva in nostro soccorso la Città di Grugliasco, che ci affida Villa Claretta Assandri e il problema è risolto. Ci tengo a sottolineare che, a fronte di un Sindaco torinese granata che non ha voluto affrontare e risolvere il problema, tre amministratori bianconeri – il presidente della giunta provinciale Vallero, il suo vice Cerchio ed il Sindaco di Grugliasco Mazzù – si sono fatti carico della questione e l’hanno risolta.
Il 4 di maggio ricorre il 71 esimo anniversario della tragedia di Superga, un momento di riflessione che coinvolge tutto il mondo del calcio. A causa del Covid molto probabilmente non sarà possibile effettuare la consueta celebrazione, come vivrai questa giornata?
Negli ultimi anni, il quattro maggio a Superga era diventato una sorta di sagra profana, con venditori di porchette, palloncini, gadget e via discorrendo. Insomma, una cosa che non si poteva più vedere.
Gli ultimi due anni, anche a seguito delle mie proteste in Comune, la situazione era drasticamente mutata in meglio (anche se per i miei canoni, ancora non ci siamo). Io non sono credente e quindi, anche se mi viene regolarmente offerta la possibilità di sedere in chiesa per assistere alla Messa, declino l’offerta, per non privare un credente della possibilità di partecipare al Sacramento Eucaristico ed aspetto fuori sul sagrato, dopo aver fatto la mia visita alla lapide, per un momento di raccoglimento. Mi tocca tristemente constatare che invece tanti, troppi, sono quelli che fanno passerella e presenzialismo a tutti i costi.
Lo stesso dicasi per l’esterno: selfie coi giocatori, autografi, fumogeni e cori, a mio parere, dovrebbero essere riservati ad altri luoghi ed altri momenti. Quest’anno la segregazione ci priva di questo Barnum è forse non è nemmeno tutta questa disdetta. Ricorderemo i nostri Immortali con un sentito pensiero dalle nostre case. Sono fermamente convinto che il posto migliore per tenere le persone che abbiamo amato sia il nostro cuore. Non è indispensabile andare a lucidare marmi ed accendere lumini.
E’ noto il tuo impegno, nonché collaborazione con il Comitato che cura la memoria delle 39 vittime dell’Heysel. Il giorno in cui i tifosi di Juventus e Torino potranno ricordare i morti insieme godendosi un momento di pace è ancora lontano?
Sei anni fa, abbiamo organizzato presso il nostro Museo una mostra temporanea intitolata “70 Angeli in un unico cielo – Heysel e Superga tragedie sorelle”, proprio per far capire che la morte, come ci ha insegnato il grande Totò nella sua poesia “La livella”, ci rende tutti uguali e tutti meritevoli di rispetto. Impugnare le tragedie altrui come clave, per ferire gli avversari, è esercizio di profonda infamia ed inciviltà.
Si può tifare pro, si può anche tifare contro, ma ci sono dei paletti che non devono essere oltrepassati.
Lasciatemi dire, scherzosamente, che con tutto quello che ci sarebbe da dire sui vivi i morti li possiamo (e dobbiamo) lasciare tranquillamente in pace.
Sei in prima linea contro razzismo, violenza fisica e verbale allo stadio, pensi che in generale, le istituzioni stiano facendo abbastanza per insegnare una modalità nuova per vivere i colori della squadra del cuore?
Il migliore amico di mio padre era bianconero e giocava nelle giovanili della Juventus, quindi col suo tesserino poteva assistere gratuitamente alle partite interne di Juventus e Torino. I due erano entrambi del 1928 e nel secondo dopoguerra, soldi per divertirsi ce n’erano pochi o nessuno.
Così l’amico entrava al Comunale e poi faceva passare di nascosto il tesserino a mio padre, che entrava gratis anche lui, a vedere la Juve di Boniperti e Parola.
Scena identica avveniva la domenica successiva, a ruoli invertiti, al Filadelfia, quando i due si godevano le partite del Grande Torino. Posso garantire, perché me lo hanno raccontato loro, che non si sono mai presi a botte, né tra loro né con altri. Io credo che le condizioni per aver stadi sicuri non si realizzino all’interno degli stadi medesimi, creando settori ospiti e barriere divisorie, ma all’esterno, educando i giovani al rispetto per l’avversario.
Ripeto: Avversario, non Nemico.
Il museo Grande Torino dove è custodita la memoria granata vuole anche essere un polo culturale ricco di belle iniziative, quali sono i prossimi progetti?
Purtroppo la pandemia ha stoppato sul nascere la mostra dedicata ad Enzo Bearzot – grande Capitano granata ma anche patrimonio di tutto il calcio nazionale, con la sua vittoria ai Mondiali di Spagna del 1982 come CT – che avremmo dovuto inaugurare l’otto marzo.
E poi, ogni anno, dedichiamo una mostra ad un grande giocatore che ha scritto pagine storiche del calcio italiano, ma senza mai aver indossato la maglia granata. A ribadire il concetto che la Storia del Toro è certamente Leggenda, almeno per noi, ma saremmo fuori strada se pensassimo di essere gli unici detentori del Verbo. E quindi è giusto e doveroso rendere omaggio a tutti i grandi campioni che hanno fatto la storia del calcio. Abbiamo già ospitato Gigi Riva, Javier Zanetti, Giancarlo Antognoni e Giacinto Facchetti. Ma la serie è solo all’inizio. E chissà che prima o poi non ci sia spazio anche per un bianconero.
Domenico, il Torino avrebbe il diritto di avere una “casa granata” (un centro dove vengono concentrate attività che riguardano Società e Squadra, più o meno come è riuscita a fare la Juventus), secondo te i tempi sono maturi? O cosa manca?
Siamo così sicuri che ci sia questo “diritto”, magari legato al blasone?
Se parliamo di diritto morale, mi trovi d’accordo: ma poi i risultati bisogna conquistarseli sul campo, che nella vita nessuno ti regala nulla. Lo stesso vale per il Toro. La dirigenza del Torino FC deve ampiamente dimostrare di essere degna prosecutrice di quel blasone che fu del Toro. Aver rilevato il titolo sportivo dal Lodo Petrucci, non è sufficiente. Noblesse oblige, significa che bisogna “essere” nobili, non solamente apparirlo. Esserlo con comportamenti all’altezza del ruolo che si ricopre. Essere l’erede di Marone Cinzano, di Novo e di Pianelli, è un fardello greve, che bisogna dimostrare di saper portare con classe.
Ultimamente, i tifosi di calcio in generale tendono ad entrare in conflitto con le Società che gestiscono le squadre, sei d’accordo che ci sia una tendenza a voler rendere il calcio non più uno sport popolare, ma un passatempo per ricchi? E mi riferisco ai costi dei biglietti, degli abbonamenti per niente a buon mercato e alle selezioni che hanno colpito il tifo organizzato.
Da cosa si può osservare da fuori, si direbbe che tre siano gli attori di questa “commedia all’italiana” che è il calcio odierno. Lui, lei e l’altro, come da copione: in cui lui, il tifoso, vorrebbe avere tutte le attenzioni della sua lei senza doverle pietire. Vorrebbe che lei fosse sempre la più bella di tutte e solamente per lui. Ovviamente vorrebbe evitare di doversi dissanguare per mantenerla.
Lei, la squadra, fa la preziosa, si nega e si offre a corrente alterna, seguendo le fortune del momento, ma sempre cercando di trarne il massimo dei benefici.
L’altro, ahimè impersonato da loschi figuri che con la sana passione tifosa nulla hanno a che fare, cerca di mettersi in mezzo e talvolta, anzi, sovente ci riesce.
Purtroppo le cronache sono infarcite di episodi di delinquenza affiancati a tentativi di trarre illeciti guadagni tramite il bagarinaggio, il controllo dello spaccio di stupefacenti e l’ottenimento di favori e denari, in cui molte società di ogni latitudine si trovano coinvolte. Recentemente in questo ménage a tre si sono inserite anche le televisioni e gli sponsor, che con i diritti televisivi e le sponsorizzazioni pubblicitarie a sei zeri, hanno ingigantito il giro di denaro e fatto lievitare l’interesse -sia lecito che illecito – verso questo mare di soldi, svilendo lo sport ed i tifosi, ridotti il primo a macchina da soldi, i secondi a vacche da mungere.
Il Covid-19 ha bloccato tutte le attività non solo sportive, e come era prevedibile, i contagi sono arrivati anche nel calcio giocato. Attualmente si sta cercando di trovare una soluzione su come gestire il Campionato e come farlo proseguire, nessuna proposta è perfetta … Tu cosa faresti?
Mi inorridisce pensare che si pensi a una ripresa, subordinata a tutta una serie di indispensabili controlli sanitari degli atleti e di tutti gli altri soggetti che gravitano attorno ad una squadra di calcio. Inevitabilmente si deve passare attraverso l’effettuazione di un numero considerevole di tamponi: quegli stessi tamponi che al personale sanitario, impegnato in prima linea per salvare le nostre vite e che ha già lasciato sul terreno di battaglia oltre cento morti, vengono negati o centellinati.
Credo sia indecente e inaccettabile, per una società che si reputa civile. Altri Paesi hanno preso la decisone sensata, di chiudere il campionato. Credo che anche noi si debba seguire questa strada, per rispetto alle vittime e a tutti quelli che soffrono e soffriranno.
Cinzia Fresia