Punto e a capo.
(e credo di averlo detto pure di recente)
L’Inter è quella delle cadute clamorose e delle vittorie impossibili e improbabili. Lo è nel suo dna, lo è sempre stata, lo racconta il suo vissuto più recente e più antico. Con l’Inter tutto è possibile, tutto e il contrario di tutto. La cosa però che rende l’Inter peculiare nella sua vera essenza è l’essere complicata, a tratti snob.
Una presuntuosa donna che finisce però col cadere quasi sempre sul più bello, così drammaticamente e sadicamente cinematografica, come una donna Hitchcockiana che finisce col complicarsi (talvolta) tragicamente la vita. E questa volta sembra essere persino finiti nella spirale di Vertigo, lì intrappolati nella intrigata trama di quella donna che visse due volte perché tant’è…
Sembra essere ri-piombati in quella trama già scritta troppe volte e che troppe volte, non a caso, sembra giungere al punto di non ritorno sempre a dicembre, sempre a ridosso di Natale e come se Inter bells e il regalo con l’Udinese servito lo scorso dicembre come antipasto di un natale indigesto non fosse bastato, l’Inter ancora una volta si complica la vita ma quasi come una Marnie bionda e dai capelli raccolti, ricade tra gli intrecciati ghirigori della tela nerazzurra questa volata quasi ingenuamente. Questa volta però l’Inter è chiamata a rispondere per certi versi con un tono extra-diegetico alla narrazione e una volta in cima di quell’inquietante campanile, Spalletti dovrà impersonare uno Scottie più audace e coraggioso ed evitare che l’ombra misteriosamente angosciante faccia precipitare Judy giù dalla torre così come accaduto in passato a quella Madeleine che tanto ricorda.
Ma la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare – così canta Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, e chissà se l’Inter ascolterà anche solo una volta queste note, e chissà se coglierà quel labile e flebile ‘Mi fido di te’ che la Nord e gli interisti tutti in cuor loro intonano.
Ma la Beneamata sembra essere degna figlia di quel regista tanto ambiguo, misterioso, oscuro e a tratti sadico e della suspence ne fa sua arma migliore e infatti nel suo ineluttabilmente incolpevole strafalcione che a Londra gli è costato un precipizio lungo tre mesi e sei partite, è tornata in basso a quella lunga scalinata che tanto sembra suggerire le note di quel celeberrimo brano contenuto in ‘Led Zeppelin IV’.
E come quella donna che era sicura che ogni luccichio fosse oro, ai piedi di quella scala che può portare al paradiso, ‘c’è un segno nel muro, di cui lei vuole essere sicura, perché sa che le parole hanno due significati’ e se da un lato vincere è quello che l’Inter deve provare a fare senza alcuna messa in discussione, quella salita potrebbe essere vana se dall’altro lato del Mediterraneo i catalani dovessero decidere di concedersi uno sgarro davanti al proprio pubblico proprio stasera.
E allora sì che tutto si complica, perché Valverde dispone di più campioni in infermeria che in campo e con una qualificazione già blindata potrebbe non aver motivo alcuno di rischiare nessuno dei suoi preziosi glitters. E allora non è proprio tutto oro quel che luccica e l’Inter si ritrova esattamente ai piedi di quella scala verso il paradiso, ancora una volta, dopo aver rivisto le stelle ed essersi illusa di aver battuto Belzebù, ancora troppo vicina e insieme troppo lontana da quel limbo di spiaggia che permette di cantare di quel secondo regno dove l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno.
“Ricordate tutte le volte che avete detto “non vedo l’ora”? Ecco, l’ora è arrivata”
Così aprivamo alla Champions League quando i nerazzurri s’apprestavano ad esordire in quell’Europa che tanto avevano aspettato, e così aprivamo su Icardi, capitano e bomber nerazzurro, che troppo tempo relegato lontano dai palcoscenici illustri,calcava per la prima volta il campo dopo “The Champions” cantato all’unisono mentre il pallone stellato sventola a centrocampo.
“La differenza tra l’esserci e non la sanciscono i gol,
gli stessi che il capitano nerazzurro non è ancora riuscito
a segnare in questo inizio di stagione”
Differenza che Maurito, una volta incontrata Madamoiselle Europa, ha immediatamente cancellato, specie perché dopo quella rete contro il Tottenham – la prima stagionale -, Mauro non si è più fermato. Da quel giorno il capitano nerazzurro non ha segnato soltanto contro Sampdoria, Frosinone, Genoa e Juventus, senza contare però che contro il Frosinone Mauro ha giocato soltanto tredici minuti e contro il Genoa non è mai sceso in campo. Le altre due partite a secco di gol sono le due trasferte d’Europa contro il Tottenham e contro il Barcellona.
Il numero 9 si è scrollato di dosso persino quell’aura di mal dosatore che spesso gli si veniva attribuita ma oggi, dopo il genio assenteista che non ha salvato l’Inter in quel di Torino contro i capolista, viene preso ancora in causa e l’imprevedibilità e prodezza di cui gode sono le cose che più la Nord gli scongiura di tirar fuori.
‘Ed è la nord che te lo chiede’
A qualche ora da Inter-Tottenham dove tutto era iniziato ci dicevamo nel punto in cui ci eravamo lasciati, a premere play dopo quel ‘pausa’ pigiato il 20 maggio all’Olimpico contro la Lazio, dove quella inzuccata di Matias Vecino aveva rilanciato l’Inter in quel viaggio degno di Dante e Virgilio che era sembrato complicarsi una volta saliti sulla zattera di Caronte.
Eppure, oggi, dopo tanto peregrinar in quel regno di cui ‘tanto è amaro che poco è più morte’, girarsi a rimirar lo passo potrebbe solo riesumare quei mostri di cui con tanta fatica ci si era liberati, sicché ‘Non ti curar di loro ma guarda e passa’.
Non curarsi di loro sovviene difficile e ancor di più passare perché in caso di vittoria inglese in campo spagnolo, a passare sono proprio gli Spurs che sull’Inter vantano un gol di vantaggio vista la regola delle reti fuori casa e a quel punto l’Inter dovrebbe soltanto star seduta a guardar passare. Eppure scendere in campo al Meazza pensando al Camp Nou è l’errore più grande che si possa fare specie perché a complicare quell’intricato e tortuoso plot degno del sommo Poeta, il destino Spurs ci tiene appesi ancora una volta – quasi tragicamente – annodati e ancora una volta si riparte da una situazione di pareggio.
Anche in questo caso l’Inter non potrà permettersi di pensare ad altro se non ai 90 minuti che separano il possibile dall’impossibile, la soddisfazione dal rammarico, l’orgoglio e la rivalsa alla ritirata inerme. E anche questa volta in ballo c’è un orgoglioso spirito di rivalsa che ripensando a quella rimonta rivelatasi vana nel lontano marzo 2013 non può che tornare in auge.
Di diverso però c’è la serenità nerazzurra, minata dalle pesanti assenze, prima fra tutti quella di Matias Vecino, l’uomo della Garra che a San Siro col Tottenham, così come all’Olimpico contro la Lazio, aveva consegnato prima, legittimato dopo quell’Europa tanto agognata. L’uruguagio al quale l’Inter sperava di poter affidare ancora una volta l’ultima parola, diserterà il manto del Meazza questa sera, e come se non bastasse, Spalletti non può neppure contare sulla totale disponibilità di Radja Nainggolan non del tutto in forma.
Proprio Radja era quello che, insieme ad Icardi, avevano fatto sperare e non poco per questa Champions: le loro due reti in casa del Psv, ad Eindhoven, sono state le due reti che hanno trascinato l’Inter verso quelle acque migliori di cui tanto si è cantato in questi due mesi addietro.
‘L’Inter chiamò’
Ecco perché, come si canterebbe dalla Nord, ‘L’Inter chiamò’ e a rispondere questa sera dovranno essere i vari Ivan Perisic e Mauro Icardi: quest’ultimo, nel periodo forse migliore della sua carriera dovrà veramente caricarsi di quella responsabilità che in realtà aveva sempre desiderato, mentre il croato reduce da un periodo in cui le critiche superano le lodi, talvolta meritatamente talvolta esageratamente dovrà riapparire in quella zona di campo che ultimamente ha disertato, nonché l’attacco.
Ma non soltanto, perché la vera emergenza è a centrocampo, fuori Gagliardini e Joao Mario (esclusi dalla lista UEFA) Spalletti è costretto ad attingere alla fantasia, se non di interpreti quasi sicuramente di ruoli e moduli e proprio Ivan Perisic potrebbe essere un ‘falso’ ruolo, adattamento che Spalletti non temerà certo di apporre ma da non sottovalutare per l’uomo di Certaldo ci saranno fin troppi dettagli, specie dopo gli errori additatogli di recente ma non c’è tempo per i mea culpa, tantomeno per i capri espiatori, oggi l’Inter chiama e a rispondere dovranno essere tutti. Dal tecnico ai tifosi che dovranno sostenere i ragazzi più di quanto non abbiano già magistralmente fatto finora.
Non c’è più tempo di distrazioni tantomeno di pensieri contorti che volgono a irrigidire nervi e contrarre muscoli, non c’è tempo di pensare, è tempo di tifare, e perché no, anche un po’ di sperare che il cielo sopra San Siro si stenda le stelle brillino più a Milano che a Madrid.
Egle Patanè
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