Non ha fatto scalpore la notizia delle dimissioni di Gennaro Gattuso da guida tecnica del Milan. Chi conosce Ringhio, probabilmente, aveva già capito la sua mossa.
Aveva già compreso quanta dignità c’è in quel’ uomo solo apparentemente burbero, che ha amato e ama la squadra rossonera in una modalità in via di estinzione in questo calcio attuale.
“Non c’è stato un momento in cui ho maturato questa decisione, è stata la somma di questi 18 mesi da allenatore di una squadra che per me non sarà mai come le altre”.
Una squadra con la quale nel medesimo giorno della rescissione, esattamente sedici anni prima, conquistava la Champions League, in quel di Manchester contro la Juventus. Uno dei tanti trofei portati a casa da Rino con la maglia del Milan, in anni fatti di lotte acerrime in mezzo al campo per lui, il primo a entrarvi sempre di corsa, sempre presente, sempre ‘sul pezzo’.
Diciotto mesi su una panchina che scotta, e solo chi ha giocato nel Milan può saperlo. Al suo arrivo – ma anche dopo – tanta umiltà ( lui, giovane allenatore di appena 40 anni), tanta volontà e voglia di mettersi in discussione. Prende per mano una squadra spenta e gli restituisce colore – anzi due, quelli che lui ha nel cuore, quelli giusti insomma -, la porta in finale di Coppa Italia e in Europa League a suon di corse, anche se a bordo campo stavolta. Sembra voglia entrare lì in mezzo a tutti i costi, ancora una volta, a dare una mano a quei ragazzi che non lo sanno, no, cosa voglia dire vestire la maglia del glorioso Diavolo.
Le difficoltà nel tempo affrontate e gestite a modo suo, modo che ha significato crescita, come tecnico ma anche come uomo: con le cadute e le risalite, gli scontri – inevitabili ma necessari – con i giocatori, i conti da fare con tutti gli infortunati, dispensando ogni giorno linfa vitale a tinte rossonere a calciatori poco tempo prima quasi invisi al tifo. Senza mai piangersi addosso, ammettendo senza remore ogni errore, perchè Gattuso – uomo prima che allenatore – è così: non ti può nascondere nulla.
Sotto la sua gestione, il Milan ha ottenuto una media di 1,81 punti a incontro: solo la Juventus e il Napoli hanno saputo fare meglio e forse questo genera ancora più rammarico per la qualificazione in Champions sfuggita così, per un soffio, per un punto soltanto.
Arriva sempre il momento di mettere da parte sogni e ambizioni per fare i conti con la realtà e nel momento in cui non vi è più condivisione di idee bisogna sapersi fare da parte. Gattuso ha fatto ‘semplicemente’ questo, ha anteposto il Milan a se stesso, alle sue convinzioni, a quello che avrebbe desiderato. Lo ha fatto sapendo che per lui questo club non sarà mai come tutti, lo ha detto: ma non solo, lo ha dimostrato in ogni attimo della sua vita di giocatore e di tecnico, con quella dedizione oramai merce rara in questo calcio malato di protagonismo e di sete di denaro.
Si sfila la giacca così come anni addietro si era sfilato la maglia, sempre con lo stesso simbolo: ma quel simbolo resta comunque tatuato, è indelebile. Allora assale la commozione, assale lui ma anche tutti noi, tutti i rossoneri ma anche tutti gli avversari che ne ammirano la serietà e il senso di appartenenza, quel sentirsi parte di qualcosa che vale molto di più, anche di un contratto di due anni lasciato andare “perché tra me e il Milan non sarà mai una questione di soldi”.
E una sola richiesta, che il suo staff venga regolarmente pagato.
Rino Gattuso lascia il Milan per la seconda volta, con il magone e gli occhi lucidi. Nella mente lo rivediamo correre, combattere su ogni pallone, alzare trofei e incitare i suoi ragazzi. Le immagini si sovrappongono senza alcuna differenza perché Ringhio è cresciuto ma non ha mai perso la parte migliore di sé che poi é la stessa che lo ha spinto a maturare quella decisione sofferta, ma necessaria.
Forse lo rivedremo a breve su un’altra panchina. Il Milan troverà presto un altro tecnico, senza dubbio. Il dubbio, invece, é che possa trovare un uomo migliore.
Daniela Russo