Perché i mondiali in Qatar non vanno proprio giù a molti?
Cosa non quadra sulla competizione assegnata al Qatar?
Dai diritti umani latitanti al mero business, fino al clima…
ecco tutti i nei dei mondiali invernali
Tra parecchi anni, la prossima generazione si ritroverà a studiare eventi che nessuno forse avrebbe nemmeno immaginato di poter vivere. Perché dopo una pandemia e una guerra ancora in corso, con le pesanti conseguenze che già pesano e non poco, mancava l’anomalia del mondiale di calcio tra novembre e dicembre.
Perché se ne sentiva davvero il bisogno, effettivamente!
Certo, a prima vista, potrebbe non esserci storia se mettiamo a paragone questi fatti, fosse solo perché il calcio è sempre visto come un viatico di svago alimentato dalla passione per la propria squadra o, nel caso dei Mondiali, per la nazione di appartenenza.
La questione del mondiale in Qatar però, prevarica di molto l’aspetto emozionale e passionale. E quanto più si avvicina la fatidica data di inizio (20 novembre), tanto più si storce il naso un po’ ovunque.
Ma quanto sappiamo di questo Mondiale? E quanto sappiamo del Qatar?
Questo piccolo ma ricchissimo stato della penisola arabica, poco più grande dell’Abruzzo, è abitato da meno di due milioni di persone e la sua forma di governo è, manco a dirlo, una monarchia assoluta.
Ma perché proprio il Qatar, questo staterello che in tanti forse faticano anche a trovare sulla cartina geografica?
Il Qatar è prevalentemente desertico e questo rappresenta una grossa pecca per tante attività legate alla terra. Viceversa deborda di petrolio e gas naturale, risorse sulle quali ha costruito la sua enorme ricchezza e, sicuramente, la sua influenza a livello mondiale (no, non è solo un gioco di parole!).
La sua capitale, Doha, ha una storia tutto sommato recente, essendo stata fondata, con un nome diverso, “appena” nel 1825. È sede del noto canale Al Jazeera, oltre che di fatto, unica città di riferimento dell’intera nazione.
Modernità, opulenza, sfruttamento oltremisura delle risorse, denaro, ampio potere derivante da esso, sembrano essere la carta d’identità del Qatar che diciamolo, di calcio ne sa quanto la Banda Bassotti di onestà.
Ma tant’è… I Mondiali si svolgeranno a breve proprio là, in Qatar, dove gli impianti ultraconfortevoli e adeguatamente climatizzati costruiti appositamente per l’occasione (viste le altre temperature previste nell’estate mediorientale), sembrano già destinati ad una mesta demolizione.
Ah, e naturalmente le strutture hanno impiegato manodopera a livello schiavitù di migliaia di lavoratori provenienti da altri paesi.
Là, in Qatar, dove la democrazia è forse solo un termine da trovare su un dizionario.
Là, in Qatar, dove vige la legge della Sharia, dove le donne hanno votato per la prima volta solo nel 1999.
Là dove abortire è appannaggio dell’uomo e dove l’omosessualità è punita anche con la pena capitale (va ancora molto di moda la fucilazione).
Là dove il monarca assoluto è assoluto nel vero senso della parola e dove la libertà di espressione è più che compromessa (e giù di eufemismo).
Cosa c’entra tutto questo col calcio? Cosa c’entra nello specifico con una manifestazione che dovrebbe, attraverso il pallone, rimarcare la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà tra i popoli, la tolleranza e il rispetto nella sua interezza?
NIENTE!
E lo sappiamo, non facciamo finta che sia qualcosa di diverso.
Per non parlare poi di un altro aspetto non proprio trascurabile: quello del presunto giro di mazzette legate proprio ai mondiali.
Insomma, che la Fifa abbia avuto a ripensarci dopo aver in primis giudicato la candidatura del Qatar una delle meno gettonate, ci sta.
Chissà cosa deve aver animato questa scelta…
In ogni caso, chi ama il calcio, nonostante tutto, si augura di vedere calcio.
Chi invece, in questi Mondiali ci vede dell’altro, come delle macchie scure che più scure non si può, avrà i propri motivi per snobbarli o criticarli, continuando a storcere il naso per qualcosa che di sportivo ha forse solo un lontano e mal percepito retrogusto.
Simona Cannaò